La solidarietà è soltanto una parola. Ne sanno qualcosa i 16.500 che fanno la fila alla Caritas o presso le altre strutture di assistenza. Il capoluogo lombardo è cambiato e se continua cosi non potrà più assicurare un futuro a nessuno.
C’era una volta Milano. Appunto, una volta. Soltanto un paio di anni fa un giubilante Di Maio sosteneva di aver abolito la povertà. Qualcuno dovrebbe avvertirlo che non è così, anzi.
Le code per il pane che rimbalzano sulla stampa in questi giorni – e meno male che i giornali se ne sono accorti, meglio tardi che mai – rievocano scenari da dopoguerra: famiglie con bambini piccoli, italiani e stranieri, gente che solo fino allo scorso febbraio mai avrebbe immaginato di dover chiedere un aiuto per mangiare.
No, non stiamo parlando del Meridione ma di Milano, appunto. La ricca Milano. Ecco quello che accade ai piedi dei grattacieli della city, all’ombra del Pirellone. C’è un mondo che non è quello delle copertine di certa stampa patinata, degli influencer, dei grandi brand, delle passerelle della fashion week.
È la Milano silenziosa quella che nessuno vede, o meglio, che si vorrebbe non vedere. Una Milano in fila alla Onlus Pane Quotidiano, con una dignità che spezza il cuore. Nel periodo dell’anno in cui si parla tanto della gioia di dare e non di ricevere, sarebbe il caso di fermarsi e riflettere. Magari di aprire per bene gli occhi ed osservare quello che ci circonda, pazienza se è scomodo, se rischia di turbare la nostra fittizia tranquillità.
Perché potrebbe succedere a tutti. Perché forse è vero che o ci salviamo tutti insieme, o non si salva nessuno. Se le richieste di aiuto alla Caritas Ambrosiana sono passate da 2500 a 16.500 in un lasso di tempo che va dallo scorso marzo ad oggi, significa che non va tutto bene.
Come recitavano gli slogan degli arcobaleni appesi a balconi e finestre durante il primo lockdown. Finiti i tempi in cui si cantava l’inno di Mameli per tenere alto il morale, che nel frattempo è sprofondato a livelli sotterranei. Se più di mille famiglie hanno chiesto aiuto al Fondo San Giuseppe perché rimaste prive di un mezzo di sostentamento (49% italiani e 51% stranieri), significa che non si è vista alcuna potenza di fuoco, nessuna pioggia di miliardi.
Secondo le statistiche i soggetti maggiormente colpiti da questa gigantesca ondata (non c’è solo il Covid che crea ondate) sarebbero donne: donne con una media di due figli a carico, in un’età intorno ai 40 anni.
Persone già in situazioni traballanti prima del Covid, che hanno ricevuto lo sgambetto finale dal lockdown; ma anche famiglie o single appartenenti al ceto medio, che hanno visto i propri risparmi prendere il volo in questi mesi e si sono ritrovati privi di mezzi per andare avanti.
Il numero di nuovi poveri presi a carico dalle Caritas diocesane è passato dal 31% nel periodo da maggio a settembre del 2019, al 45% dello stesso periodo del 2020.
La categoria dei lavoratori più colpita è ovviamente quella della ristorazione e del turismo, ma anche quella delle colf, delle badanti, per passare ai cassaintegrati che ancora non hanno visto un soldo, ai piccoli imprenditori che hanno dovuto chiudere per sempre la loro attività.
Gente che non riesce a mettere insieme pranzo e cena, che non ha mezzi per pagare affitto e bollette, figurarsi le tasse. Genitori che non riescono a far seguire ai figli le lezioni in didattica a distanza, perché privi di un notebook o di connessione a Internet.
E la sensazione è quella che non sia finita qui, che le richieste siano ancora in aumento, come dice Luciano Gualzetti, direttore della Caritas Ambrosiana, che si dice preoccupato: “…Quando finiranno gli ammortizzatori sociali potrebbero cadere nella povertà altre fasce della popolazione che ora hanno un minimo di tutele. Bisogna cercare in tutti i modi di tenerle a galla, altrimenti è difficile tornare indietro…”.
Reddito di Cittadinanza o reddito d’Emergenza, poco importa. Sono mezzi utili, ma non possono e non devono diventare la soluzione. Perché allora la povertà diventerebbe normale condizione di troppa gente e questo no, non si deve accettare. Il futuro di queste persone non è l’elemosina ma un lavoro adeguatamente retribuito.
Al di là dei bei gesti – per tornaconto di marketing o meno, non è dato sapere – dell’elevato di turno che giunge dalla Milano in, magari arrivando in Lamborghini nelle periferie a portare aiuti, in un imbarazzante adattamento della Ruota della Fortuna.
Ovviamente filmandosi mentre compie il nobile gesto – perché, ehi, i followers devono andare in visibilio! – scivolando in un degrado morale superlativo. “Bisogna evitare che esploda la rabbia dei poveri”, dice ancora Gualzetti “le conseguenze sarebbero drammatiche”. Certo che potrebbe esplodere la rabbia.
Si cammina su un terreno pericoloso, del quale la criminalità sta approfittando in maniera crescente. Se siamo rimasti impressionati dalla coda di fronte a Pane Quotidiano, forse è meglio evitare di voltarsi dall’altra parte. Istituzioni in primis.
Eppure la preoccupazione di qualcuno sembra quella di nascondere la polvere sotto il tappeto: oggi si apprende che Pane Quotidiano sospende la distribuzione di cibo dal luogo consueto, per spostarsi al Refettorio di Greco (con ingressi a turno). Certo, molto meglio che i poveri stiano in una via chiusa in fondo alla stazione Centrale piuttosto che vicino al centro, a due passi dalla Bocconi.
Non sia mai che i bisognosi possano urtare l’animo della Milano-bene, magari quella delle feste di Alberto Genovese in Terrazza Sentimento di palazzo Beltrade, distraendone i rappresentanti da incombenze di vitale importanza come lo shopping. È Natale, dopotutto. Siamo tutti più buoni. Forse.
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