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Messina Denaro: l’architetto e il radiologo presunti fiancheggiatori non parlano

Si sono avvalsi della facoltà di non rispondere i due professionisti accusati di aver favorito il boss. Gullotta, invece, ha respinto le accuse.

Palermo – Si sono avvalsi della facoltà di non rispondere i due professionisti finiti in carcere mercoledì scorso perché accusati di associazione mafiosa per aver coperto la latitanza del boss Matteo Messina Denaro. Mentre l’architetto Massimo Gentile e il tecnico radiologo Cosimo Leone hanno fatto scena muta, ha parlato respingendo le contestazioni della Procura Leonardo Gulotta, che secondo gli inquirenti avrebbe ceduto il suo numero di cellulare al mafioso dal 2007 al 2017.

In ragione delle spiegazioni fornite da quest’ultimo, difeso dall’avvocato Mariella Gulotta, è stato modificato il capo d’imputazione: nel 2007, infatti, l’indagato era minorenne e quindi la Procura non avrebbe potuto procedere nei suoi confronti. La contestazione ora riguarda quindi soltanto gli anni dal 2014 al 2017. Il difensore ha chiesto la modifica o la revoca della custodia cautelare in carcere perché ritenuta eccessiva rispetto alle accuse. I pm e il giudice si sono riservati.

Secondo il procuratore aggiunto Paolo Guido ed i sostituti Gianluca De Leo e Pierangelo Padova che coordinano l’inchiesta, l’architetto Gentile, dal 2019 dipendente del Comune di Lambiate, nel Monzese, e responsabile del servizio Lavori pubblici, avrebbe ceduto la sua identità al boss, consentendogli di acquistare una Fiat 500 nel 2014 e anche una moto. Gentile, invece, in servizio all’ospedale Abele Ajello di Mazara del Vallo, avrebbe aiutato il mafioso a fare una Tac a novembre del 2020, fondamentale dopo il primo intervento subito in seguito alla scoperta di un tumore. L’indagato gli avrebbe anche portato un cellulare in ospedale per permettergli di comunicare con l’esterno.

Secondo l’accusa, Gentile avrebbe saputo perfettamente che il paziente che avrebbe dovuto fare l’esame non era, come risultava invece dai documenti, il geometra Andrea Bonafede (che ha prestato la sua identità a Messina Denaro nell’ultima fase della sua vita per consentirgli soprattutto di curarsi), perché avrebbe conosciuto Bonafede.

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