La 49enne tetraplegica affetta da sclerosi multipla presenta nuova opposizione dopo l’ennesimo diniego dell’Asl triestina. L’associazione Luca Coscioni rilancia la raccolta firme per il fine vita.
Trieste – Un terzo diniego che riapre ferite mai rimarginate e riaccende il dibattito sul diritto alla morte volontaria assistita in Italia. Martina Oppelli, 49 anni, triestina, tetraplegica e affetta da sclerosi multipla da vent’anni, ha ricevuto l’ennesimo “no” dall’azienda sanitaria locale per accedere al suicidio assistito. Una decisione che spinge la donna verso una riflessione amara: “Basta soffrire, valuto di andare in Svizzera”.
Il 4 giugno scorso l’Asugi (Azienda sanitaria universitaria Giuliano Isontina) ha comunicato la sua terza negativa, motivandola con l’assenza di “alcun trattamento di sostegno vitale in corso” nella condizione clinica della paziente. Una valutazione che stride con la realtà quotidiana di Martina, costretta a vivere in uno stato di totale dipendenza da caregiver e presidi medici salvavita.
La battaglia legale continua
Non si arrende il team legale coordinato da Filomena Gallo, avvocata e segretaria dell’associazione Luca Coscioni. Il 19 giugno è stata presentata una nuova opposizione al diniego, accompagnata da diffida e messa in mora nei confronti dell’azienda sanitaria. La richiesta è chiara: riesaminare la posizione di Martina Oppelli alla luce delle indicazioni fornite dalla Corte costituzionale con la storica sentenza 242/2019 sul caso Cappato-Antoniani.

L’Asugi ha risposto annunciando l’avvio “immediato di una nuova procedura di valutazione” da parte della commissione medica. Una promessa che lascia però invariate le condizioni di sofferenza della paziente, le cui condizioni cliniche sono “in costante peggioramento”, come sottolinea l’associazione Luca Coscioni.
Una vita di totale dipendenza
La realtà di Martina Oppelli racconta una quotidianità fatta di completa dipendenza assistenziale. “Vive una condizione di totale dipendenza da caregiver per lo svolgimento di ogni singola attività quotidiana, comprese le funzioni biologiche primarie”, spiega l’avvocata Gallo. La 49enne utilizza quotidianamente la macchina della tosse per evitare il soffocamento ed è sottoposta a una terapia farmacologica con “innegabile funzione salvavita”.

Eppure, secondo la commissione medica, questi presidi non configurerebbero un “trattamento di sostegno vitale” nel senso richiesto dalla normativa italiana per accedere alla morte volontaria assistita. Una interpretazione ristretta che nega di fatto il diritto sancito dalla Consulta.
La corsa contro il tempo per il fine vita
Mentre Martina Oppelli attende una risposta che tarda ad arrivare, l’associazione Luca Coscioni ha lanciato una raccolta firme per la legge di iniziativa popolare sul fine vita. L’obiettivo è ambizioso: raccogliere 50mila firme entro il 15 luglio per portare la proposta in Senato il 17 luglio, quando inizierà la discussione del testo proposto dalla maggioranza di governo.

“La proposta di legge punta a legalizzare tutte le scelte di fine vita, inclusa l’eutanasia, con il pieno coinvolgimento del Servizio sanitario nazionale, dando tempi certi ai malati”, spiegano dall’associazione. Una battaglia che va oltre il caso singolo di Martina, per garantire dignità e libertà di scelta a tutti coloro che si trovano in condizioni di sofferenza estrema e irreversibile.
Il tempo scorre, le sofferenze continuano e la Svizzera si profila come l’unica alternativa per chi, come Martina Oppelli, rivendica il diritto di decidere della propria esistenza quando questa diventa un peso insostenibile.