Indagine della Dda di Roma svela un’organizzazione transnazionale: vittime anche minorenni costrette a prostituirsi dopo essere state condotte in Italia clandestinamente.
Roma – Sei cittadini nigeriani, affiliati all’organizzazione mafiosa Maphite, sono stati arrestati venerdì tra la Capitale, Brescia e l’Islanda in un’operazione coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia (Dda) di Roma. L’ordinanza di custodia cautelare, emessa dal gip capitolino, contesta reati gravissimi: tratta di esseri umani, favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, sfruttamento della prostituzione, sequestro di persona, estorsione, procurato aborto e associazione a delinquere di stampo mafioso, con le aggravanti del metodo mafioso e della transnazionalità. L’inchiesta, partita dal racconto di una giovane vittima ribellatasi ai suoi aguzzini, ha portato alla luce un sistema criminale spietato che dalla Nigeria all’Italia schiavizzava donne, spesso minorenni, con violenze fisiche e psicologiche.
L’operazione, scattata il 21 marzo, ha visto in azione il Servizio Centrale Operativo (Sco) e le sezioni Sisco di Roma e Brescia, con il supporto del Servizio per la Cooperazione di Polizia e del Reparto Prevenzione Crimine. Quattro arresti sono avvenuti in Italia, tra Roma e Brescia, mentre due indagati, trasferitisi da tempo in Islanda, sono stati catturati grazie alla collaborazione internazionale. Il gruppo, parte della rete Maphite – un’organizzazione nigeriana radicata in Italia e in diversi stati europei – si specializzava in tratta di persone, immigrazione clandestina, sfruttamento della prostituzione, estorsione e riciclaggio di denaro.
A far scattare le indagini è stata la denuncia di una giovane nigeriana, sfuggita alla rete degli sfruttatori dopo anni di abusi. La ragazza ha raccontato un viaggio infernale: partita dalla Nigeria con la promessa di un lavoro dignitoso, è stata trasferita attraverso Niger e Libia da un “boga”, l’accompagnatore che gestisce le tappe del traffico umano. Con lei, altre vittime, anche minorenni, costrette a subire violenze fisiche, psicologiche e sessuali. Arrivate a Pozzallo (Ragusa) su un’imbarcazione di fortuna, venivano prese in consegna a Roma dalla “madame” e da membri dei Maphite, che le obbligavano a prostituirsi con minacce e percosse.
Il sistema era brutale. Chi si ribellava veniva rinchiuso in casa, privato di cibo e contatti con i familiari in Nigeria. In un caso agghiacciante, una ragazza incinta è stata costretta ad assumere farmaci pericolosi per interrompere la gravidanza, rischiando la vita, solo per essere resa “operativa” sulla strada. Le indagini hanno documentato anche estorsioni ai parenti delle vittime in Nigeria: con intimidazioni mafiose, il gruppo pretendeva ingenti somme come “rimborso” per le spese del viaggio, mantenendo le donne in una condizione di schiavitù psicologica e fisica.
La Maphite, nota per il suo modus operandi mafioso, opera come una struttura gerarchica che dalla Nigeria si ramifica in Europa, sfruttando la disperazione di migranti e utilizzando violenza e riti coercitivi per controllare le vittime. A Roma, Brescia e oltre confine, il gruppo gestiva un lucroso traffico di esseri umani, intrecciato con attività di riciclaggio dei proventi illeciti.