L’ITALIANO DI CONTATTO, UN FENOMENO LINGUISTICO GENERATOSI A SEGUITO DEI NUMEROSI FLUSSI MIGRATORI, NON RAPPRESENTA SOLO LA LINGUA DELLE SECONDE GENERAZIONI, MA UN PUNTO D’ INCONTRO E DI INTEGRAZIONE TRA DUE SPAZI ETNICI E LINGUISTICI
In Italia, a partire dagli anni Ottanta, il fenomeno dell’immigrazione è cresciuto in maniera esponenziale. Da realtà emergenziale, nel tempo, si è trasformato in realtà dai tratti stabili, strutturali e pervasivi in molti settori della nostra società, dalla scuola al mondo del lavoro.
Secondo i dati emersi dal “Dossier statistico sull’immigrazione della Caritas – Migrantes del 2018” l’Italia, con i suoi 5,2 milioni di stranieri residenti, pari all’8,7% della popolazione complessiva, di cui 3,7 milioni costituiti da cittadini non – Ue regolarmente soggiornanti, resta uno dei principali Paesi europei di immigrazione, dopo Germania e Regno Unito e in linea con Francia e Spagna. Tra gli stranieri residenti regolarmente, moltissimi sono i minori inseriti nel sistema educativo italiano, una parte consistente dei quali è nata in Italia ed è, di conseguenza, cresciuta a stretto contatto con lo spazio linguistico italiano.
Gli immigrati stranieri che vivono in Italia parlano le lingue native del proprio Paese d’origine, che possono essere lingue di grande comunicazione internazionale, lingue veicolari o lingue locali, che assumono la connotazione di lingue immigrate in Italia o lingue dei migranti. Sistemi linguistici che, a loro volta, si inseriscono nella complessità del nostro idioma, che spazia dall’italiano standard ai dialetti regionali e locali. Da tale commistione deriva una varietà che possiamo chiamare italiano di contatto e che è riferita soprattutto ai figli degli immigrati che frequentano le scuole italiane di qualsiasi grado. La lingua italiana per gli immigrati non è una semplice seconda lingua, ma il risultato del contatto tra l’italiano e gli idiomi d’origine: genera identità plurilinguistiche complesse in un ambiente italofono.
L’italiano appreso dagli stranieri che vivono nel nostro Paese è stato oggetto di numerosi studi, notevolmente aumentati nel corso degli ultimi decenni e riconducibili al filone di ricerca della linguistica acquisizionale, che si è concentrata particolarmente sui processi di apprendimento spontaneo dell’italiano da parte degli immigrati. È stato così possibile definire delle tappe di acquisizione dei principali fenomeni linguistici, in particolare per quanto riguarda l’aspetto fonetico, morfosintattico, lessicale e dell’interazione, approfondite nel volume di Anna Giacalone Ramat “Verso l’italiano. Percorsi e strategie di acquisizione.”
In Italia la conoscenza della lingua rientra, da un punto di vista normativo, nei criteri che regolano l’entrata e la permanenza del soggetto straniero sul suolo italiano: chi entra per la prima volta in Italia deve firmare un “accordo di integrazione”, che prevede l’accertamento, entro due anni dall’ingresso, della conoscenza dell’italiano al livello A1, pena la perdita del permesso di soggiorno.
Abbiamo chiesto ad alcuni immigrati regolari residenti a Bologna di raccontarci il loro rapporto con la lingua italiana: “Vivo a Bologna da circa 15 anni, non parlo perfettamente italiano, ma quanto basta per lavorare nel mio negozio di frutta e verdura. Se ho bisogno ci sono i miei due figli che frequentano la scuola e parlano benissimo. Mia moglie non lavora, non parla e non capisce la vostra lingua. A casa parliamo il Bengali: è importante che i nostri figli lo conoscano per non dimenticare le nostre radici” afferma Sardar F., originario del Bangladesh.
“Io ho studiato l’italiano da sola, guardando la tv e ascoltando le canzoni. A casa parliamo sia rumeno che italiano, i miei figli sono nati qui, vanno a scuola e quando andiamo in Romania è giusto che sappiano comunicare anche con i loro parenti.” ci spiega Petreanu E., collaboratrice domestica.
“La mia famiglia è originaria del Marocco, viviamo a Bologna da 25 anni. Ho imparato l’italiano lavorando al supermercato, a casa l’arabo lo parliamo io e mio marito, i miei figli conoscono solo qualche frase, ma tutte le domeniche li mandiamo a seguire un corso di arabo, è importante che parlino e capiscano la loro lingua quando andiamo in Marocco” testimonia Haouari Z., cassiera.
Dunque appaiono fattori determinanti per l’apprendimento dell’italiano la scuola e il lavoro, quali ambiti in cui sviluppare e favorire l’acquisizione dell’italiano e un progressivo abbandono della lingua madre. Contrariamente, coloro che non hanno un lavoro retribuito, tendono maggiormente ad isolarsi, conservando il proprio idioma e non avendo possibilità di scambio e di confronto linguistico. Non meno importante è il fattore della distanza tra lingua madre e lingua del Paese di accoglienza: un parlante nativo del Bangladesh (lingua indoaria) è linguisticamente più distante di un parlante nativo rumeno (lingua neo-latina) rispetto all’italiano. Tuttavia, appare altresì evidente l’attaccamento alla lingua d’origine quale mezzo utile a preservare una continuità affettiva e una riaffermazione delle proprie radici.