Il procedimento a carico della giornalista è stato archiviato perché “il fatto non sussiste”. Aveva parlato della mafia ad Abbiategrasso suscitando le ire del sindaco, poi intercettato a colloquio con il presunto boss.
Milano – Querelata nel 2022 dal sindaco di Abbiategrasso, comune del Milanese, per una frase pronunciata a Cutro, in Calabria, durante il discorso di accettazione del premio Diego Tajani, dopo due anni la giornalista freelance Sara Manisera ha potuto tirare un sospiro di sollievo: “il fatto non sussiste” ha decretato la Gip di Crotone, Elisa Marchetto, disponendo l’archiviazione del procedimento penale.
Ma se oggi Manisera è potuta tornare a occuparsi serenamente del suo lavoro, non che nel frattempo non l’avesse fatto, ma sempre con la spada di Damocle di un procedimento pendente, molti altri giornalisti e attivisti non sono ancora nelle sue condizioni, inseguiti da “querele temerarie”, ovvero denunce palesemente infondate che hanno un solo obiettivo, quello di intimidire e tacitare tanto il dissenso quanto la libera informazione. Se poi si aggiunge la sproporzione dello scontro, da una parte un singolo, o un comitato di cittadini, obbligato a nominare e pagare di tasca propria un difensore e compilare lunghe memorie difensive, dall’altra enti, aziende o addirittura multinazionali, dotati di uno stuolo di legali, il quadro di questa “guerra asimmetrica”, è presto tracciato.
“Sono una giornalista freelance – spiega Manisera – non ho un editore alle spalle che mi tuteli sul piano giudiziario. Per giunta la querela riguardava un discorso pubblico, quindi nell’ambito di un’attività di divulgazione che faccio andando sui territori, per spiegare determinati fenomeni alle persone. Per due anni sono rimasta appesa a questo verdetto. C’è un problema di serenità personale e un altro squisitamente economico: ho speso un sacco di tempo per preparare la memoria difensiva, recuperando i miei articoli, ma anche e soprattutto tutto il materiale che prova la presenza delle mafie al Nord: inchieste giornalistiche, sentenze passate in giudicato, report dei diversi osservatori sul fenomeno. Tutto lavoro che nessuno ti paga”.
Ma che cosa aveva detto la giornalista di così compromettente da suscitare le ire dell’amministrazione? Parlando al pubblico del premio, e in particolare ai giovani calabresi, aveva sottolineato la necessità di saper cogliere le nuove evidenze del fenomeno mafioso nella sistematica penetrazione del tessuto economico, non più soltanto al Sud ma anche al Nord. E per farlo aveva citato un territorio che ben conosce, essendoci nata e cresciuta: “Ad Abbiategrasso, in provincia di Milano, ho visto le mafie entrare nel comune, negli appalti pubblici, e soprattutto dentro il cemento, perché alle mafie una cosa che piace tanto è il cemento”.
Tanto era bastato al sindaco Cesare Francesco Nai per ritenere che avesse “leso gravemente la reputazione della città, dell’amministrazione comunale e degli uffici comunali, affermando che questi siano controllati dalle mafie e che gestiscano gli appalti in accordo con queste”. Nonostante Manisera avesse precisato di riferirsi al territorio di Abbiategrasso, non all’amministrazione comunale, nel 2022 è scattata comunque la denuncia.
“Ciò che più indigna è leggere le motivazioni dell’amministrazione a sostegno della querela. Si preoccupano dell’onorabilità del comune di Abbiategrasso lesa dalle mie parole, e non della stessa onorabilità quando il sindaco in persona incontra Errante Parrino (presunto boss da pochi giorni nuovamente arrestato), il quale minaccia un dipendente comunale mentre il primo cittadino se la ride e non pensa minimamente a denunciare. La sola presenza del sindaco al cospetto di quel personaggio conferisce a quest’ultimo una legittimità che veicola un messaggio pericolosissimo”.
Abbiategrasso e la sua amministrazione, in effetti, oggi come già due anni fa, avrebbero avuto ben altro di cui preoccuparsi in termini di onorabilità, visto che Paolo Errante Parrino, 78 anni, originario di Castelvetrano, parente di Matteo Messina Denaro per parte di moglie, già condannato a dieci anni, risiede nel comune del Milanese da una trentina d’anni e sul suo conto sono emersi legami non solo con cosa nostra, ma anche con elementi della ‘ndrangheta e della camorra. Relazioni pericolose ribadite di recente dall’inchiesta Hydra, in base alla quale Parrino è stato nuovamente arrestato pochi giorni fa.
Nelle pagine dell’indagine istruita dai magistrati dell’Antimafia milanese, quella che ha teorizzato il “sistema mafioso lombardo” costruito sull’alleanza tra le tre criminalità organizzate, c’è anche la conversazione cui fa riferimento Manisera, quella del presunto boss con il sindaco Nai, che si era presentato nel bar della famiglia Errante per una controversia con il Comune riguardo l’installazione di un gazebo. Incontro che si era concluso con le minacce del boss ad un dipendente comunale, di fronte alle quali il sindaco non aveva in alcun modo replicato, interrotto la conversazione, né sporto denuncia, ma anzi aveva sorriso. Teatro dell’incontro quello stesso locale dove sempre l’inchiesta Hydra documenta che Errante Parrino avrebbe avuto diversi abboccamenti con presunti affiliati, o comunque pregiudicati per mafia.
Giornalista e scrittrice, Sara Manisera, collabora con numerose testate internazionali, come Libération, Internazionale e Lifegate e ha realizzato reportage in Iraq, Siria, Libano, Tunisia, Kosovo e Bosnia. Nel 2018 ha vinto la Colomba d’Oro per la Pace con il webdoc “Donne fuori dal buio”, realizzato con Arianna Pagani in Iraq e il True Story Award con un’inchiesta sui desaparecidos in Siria. Per Abbiategrasso avrebbe potuto rappresentare se non un vanto, almeno una risorsa, la sua denuncia fungere da stimolo. Invece, l’amministrazione ha scelto la strada dello scontro, ottenendo un clamoroso effetto boomerang, non soltanto per la scontata archiviazione della querela, ma soprattutto per l’ondata di solidarietà internazionale che ha circondato la giornalista messa nel mirino.
“La notizia ha rimbalzato molto e fatto indignare, ho ricevuto grande solidarietà a livello anche europeo – continua Manisera – Al mio fianco si è schierata “Ossigeno per l’informazione”, un’organizzazione che si occupa di difendere anche con fondi europei, giornalisti o attivisti che ricevono SLAPP (acronimo inglese che indica le azioni legali strategiche tese a bloccare la partecipazione pubblica, spesso utilizzate contro i giornalisti). Ho sentito forte il sostegno e la mobilitazione della società civile, la vicinanza di colleghi e colleghe, quella di Emergency, della FNSI, di Articolo 21, una scorta mediatica che mi ha permesso di entrare a far parte anche del programma di Ossigeno e di avere la difesa legale e gratuita. Anche a livello territoriale c’è stata sicuramente una società civile che si è dimostrata presente, che ha organizzato anche un paio di manifestazioni, grazie soprattutto all’attivismo del Presidio di Libera del Sud Ovest Milano, di don Massimo Mapelli, Libera Corsico, la Masseria di Cisliano. La reazione della politica locale, invece, è stata timida, trincerata dietro formule di rito quali “vediamo le carte” e “aspettiamo la Giustizia”.
Il problema di fondo secondo Manisera rimane squisitamente culturale: “C’è sicuramente una grande incapacità della politica locale, e qui parlo in generale non di uno specifico territorio, a leggere il fenomeno mafioso e riconoscerlo, perché non l’hanno mai studiato e non hanno minimamente contezza che oggi la mafia non è solamente Kalashnikov, ma è molto di più: è società, notai, commercialisti, colletti bianchi che permettono la creazione di holding dove vanno a nascondersi i soldi sporchi. Senza questa consapevolezza, è normale che gli amici con i quali vai a cena o al club, gli stessi con i quali fai politica da trent’anni, quelli che fanno parte della tua cerchia borghese, ti sembrino puliti, anche se in realtà non lo sono e non sei in grado di accorgertene”.
Poi si torna al problema delle querele temerarie: “Se ha avuto un impatto su di me che sono una giornalista e faccio questo mestiere, immagina quello che può significare per il semplice cittadino che intenda esercitare il diritto di critica. Ci penserà due volte prima di eccepire, e magari ci pensa due volte anche quel giornalista locale che scrive per 15 euro a pezzo. Perché rispetto a lui io sono privilegiata, lavoro con media internazionali. E’ un modo di tacitare qualunque forma di ricerca alternativa della verità, di impedire perfino di porre domande“.