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Inflazione e aumento dei prezzi: cambia la percezione dei consumatori

Mentre l’inflazione sale e i prezzi aumentano, la percezione e l’impatto differiscono tra diverse categorie di consumatori, creando disagio economico-sociale.

Roma – È sempre molto difficile distinguere tra inflazione generale e aumenti di prezzi giustificati da miglioramenti della qualità. La percezione dell’inflazione, peraltro, di determinate categorie di consumatori, come i pensionati e soggetti ad alto o basso reddito, dati i loro panieri di spesa, può differire da quella generale, che si basa sul paniere di spesa del consumatore medio. Al fine di cogliere meglio situazioni di disagio economico-sociale, si costruiscono, dunque, anche indici dell’inflazione al consumo per tipo di consumatore.

L’inflazione è in deciso aumento.

Tutto ciò serve agli economisti per comprendere la portata dell’impatto per singole categorie, ma la percezione reale è il disagio economico quotidiano a fronteggiare il moltiplicarsi di aumenti, indipendentemente dalla motivazione che li ha determinati. La sostanza, quindi, non cambia, per il cittadino, in quanto l’inflazione riduce il valore della moneta nel tempo, ossia la capacità d’acquisto. In definitiva, l’aumento prolungato del livello generale dei prezzi di beni e servizi, genera inflazione, in quanto comporta una diminuzione del potere d’acquisto della moneta rispetto al periodo precedente.

La sofferenza e l’insofferenza sono palpabili. Poche settimane fa l’Istat aveva già fatto una stima per l’inflazione di aprile, che era leggermente superiore, dell’8,3%. Mentre per tutto il 2023 il costo della vita aveva sempre rallentato, nel mese di aprile ha ricominciato a salire più in fretta. Il calo è dovuto anche alla stretta della Banca centrale europea, che dalla metà dell’anno scorso ha iniziato ad aumentare i tassi d’interesse, facendo salire le rate dei mutui a tasso variabile ma facendo rallentare, negli scorsi mesi, l’andamento dell’inflazione.

In sostanza, l’indice nazionale dei prezzi al consumo ha fatto registrare ad aprile 2023 un aumento dei prezzi dello 0,4% rispetto a marzo 2023, ma soprattutto il +8,2% rispetto all’aprile 2022. A marzo, il dato annuale era stato al 7,6% e nei mesi precedenti l’inflazione era sempre scesa. La disperazione cresce per le famiglie più fragili. In ogni caso, a causare questa nuova accelerazione sono soprattutto i prezzi dei beni energetici non regolamentati, con il +26,6% rispetto all’anno precedente.

Salgono anche i prezzi delle bollette.

In generale, salgono le voci contenute nelle bollette, infatti per abitazione, acqua, combustibili, elettricità l’aumento è del 16,9%. Continuano ad aumentare rapidamente i prezzi degli alimentari con un +12,1%, come risultato della media tra alimentari lavorati (14%) e alimentari non lavorati (8,4%). Complessivamente, però, il carrello della spesa, che riunisce alimentari, prodotti per la cura della casa e della persona, scende, ma l’inflazione resta comunque sopra la media, cioè dell’11,6%. È sotto la media, invece, l’andamento dei prezzi dei trasporti, con un +5,1% rispetto a un anno prima, e dell’abbigliamento, che registra un aumento del 3,3%. Il dato positivo, è che l’inflazione di fondo, cioè quella misurata dagli indici depurati da alcuni prodotti, può fornire informazioni importanti per distinguere aumenti o diminuzioni persistenti dei prezzi rispetto a fluttuazioni temporanee.

Ecco perché il dato sull’inflazione di fondo scende dal 6,3 al 6,2%, in quanto non considera i prodotti alimentari e neanche il prezzo dell’energia. Due categorie in cui spesso l’inflazione può cambiare molto rapidamente. Ciò a dimostrazione che nonostante ad aprile i prezzi siano aumentati decisamente, non si tratta per forza di un aumento strutturale. Infatti, è legato soprattutto ai prezzi dell’energia, che possono avere un periodo di crescita e poi scendere rapidamente di nuovo. Non consola, per l’Italia, il confronto con gli altri maggiori Paesi dell’Unione europea. L’aumento del costo della vita, calcolato con i criteri comuni a tutta l’Ue, risulta essere dell’8,8%. Al confronto, le altre principali economie europee si trovano tutte più in basso: la Germania si avvicina con il 7,6%, mentre la Francia è al 6,9% e la Spagna addirittura al 3,8%.

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