Il cittadino sudanese del Darfur, che ha lo status di rifugiato in Francia, denuncia di aver subìto molti crimini insieme alla moglie.
Roma – Su presunti crimini del generale Almasri fioccano denunce. “Ci sembra che Meloni sia stretta in una morsa. O interverrà la giustizia italiana, o subentrerà la Corte penale internazionale”. Così a LaPresse l’avvocato Juan Branco, uno dei legali che assiste un rifugiato sudanese che ha presentato denuncia alla Cpi all’Aia accusando il governo italiano di aver liberato il generale libico Almasri. Il cittadino sudanese del Darfur, che ha status di rifugiato in Francia, denuncia di essere stato vittima, insieme alla moglie e a innumerevoli migranti, di numerosi crimini in Libia.
Nella denuncia di 23 pagine, di cui LaPresse ha preso visione, vengono indicati i nomi della premier Giorgia Meloni, del ministro della Giustizia Carlo Nordio e del titolare dell’Interno Matteo Piantedosi, che vengono definiti “sospettati” e accusati di avere “ostacolato l’amministrazione della giustizia ai sensi dell’articolo 70 dello Statuto di Roma”. Oltre che da Juan Branco, avvocato specializzato in diritto penale e internazionale, il rifugiato sudanese è rappresentato anche dal legale Omer Shatz, direttore legale della ong Front-LEX.
Nelle scorse ore un’altra donna, originaria della Costa d’Avorio che vive in Italia, ha presentato una denuncia contro lo Stato, ipotizzando eventuali omissioni o il favoreggiamento nella vicenda di Almasri. L’atto è stato depositato presso la Procura della Repubblica di Roma dall’avvocato Angela Bitonti, difensore della donna, del foro di Matera, presidente nazionale dell’Associazione per la promozione e tutela dei diritti fondamentali dell’uomo. Nella denuncia si punta il dito “contro gli organi dello Stato che avrebbero posto in essere omissioni e/o favoreggiamento non assicurando alla giustizia il sig. Njem Osama Almasri accusato di crimini contro l’umanità e sul quale pende un mandato di arresto da parte della Corte Penale Internazionale”.
“Sono stata stuprata e massacrata di botte tutti i giorni per almeno un anno nella prigione di Mitiga – sono le parole della donna, nelle dichiarazioni rilasciate dall’avvocato – Almasri e i suoi soldati mi hanno distrutto la vita”. La donna racconta la sua prigionia in Libia. “Ho visto tante donne come me morire a Mitiga – ha messo nero su bianco – morire di stupro. Sono stata l’agnello sacrificale per uno squadrone di uomini per tanti mesi. Sono viva per miracolo. Voi non potete nemmeno immaginare quello che una donna può vivere in quella prigione, nemmeno immaginare. In Italia sono stata aiutata da brave persone a superare, in qualche modo, quello che ho vissuto. Sono andata avanti con la speranza che un giorno potesse essere fatta giustizia”.