Le invettive lanciate sul tema da Giorgia Meloni quando era all’opposizione per molti contraddicono ciò che il suo Governo sta attuando. E nascono polemiche più o meno giustificate.
Roma – Le accise alimentano il dibattito politico e soprattutto l’informazione, soffermandosi sulle mancate promesse di Giorgia Meloni e le provocazioni che l’attuale premier aveva fatto quando era all’opposizione. In buona sostanza il presidente afferma che non ha voluto infierire sul precario bilancio dello Stato per agevolare famiglie e imprese, piuttosto che eliminare ancora per qualche tempo le accise, che avrebbero comportato una diminuzione del prezzo del carburante.
Per chiarezza bisogna evidenziare che il decreto contiene “disposizioni urgenti in materia di trasparenza dei prezzi di benzina e gasolio e di rafforzamento dei poteri di controllo del Garante per la sorveglianza dei prezzi”. Il Governo Meloni ha, in controtendenza, deciso di non inserire nel decreto una norma che riguardi il taglio delle accise sul carburante. Quest’ultimo è stato introdotto per la prima volta a marzo 2022 dal Governo Draghi, poi prorogato più volte fino al 18 novembre 2022. Anche l’attuale Governo aveva, però, prorogato la misura fino al 31 dicembre 2022, ma per il mese di dicembre aveva ridotto lo sconto a 15 centesimi al litro e non più a 25 su benzina e gasolio, e a 5 centesimi, invece di 9, sul Gpl.
Tra le novità introdotte dal provvedimento c’è la così detta “accisa mobile”, un meccanismo peraltro già introdotto con la legge Finanziaria del 2008, ma rimasto finora inapplicato. Si tratta di uno strumento che doveva servire a compensare eventuali rincari del prezzo di diesel e benzina. Secondo quanto stabilito dal decreto, il taglio delle accise di fatto avverrà solo se e quando il prezzo aumenterà, sulla media del precedente bimestre, rispetto al valore di riferimento, espresso in euro, indicato nell’ultimo Documento di programmazione economico-finanziaria (Def).
In pratica il meccanismo di compensazione scatterà solo per aumenti pari o superiori a 2 punti percentuali rispetto al prezzo di riferimento espresso nel Def. La legge del 2007 prevedeva una diminuzione del peso delle accise come compensazione per le maggiori entrate dell’imposta sul valore aggiunto derivanti dalle variazioni del prezzo internazionale del petrolio. Ma con il Decreto Trasparenza del Governo Meloni il riferimento all’aumento del 2% viene cancellato, così l’accisa diventa “mobile” anche per incrementi di prezzo meno evidenti. Il taglio, in tal modo, può essere adottato, almeno secondo il provvedimento legislativo, se il prezzo medio degli ultimi due mesi aumenta rispetto a quello indicato nell’ultimo Documento di economia e finanza, che a oggi risulta pari a 87,6 dollari al barile.
In altre parole, se il prezzo del petrolio sale, lo Stato incassa più soldi dalle accise e può decidere, senza alcun automatismo, di impiegare queste risorse extra per abbassare l’imposizione fiscale. Così, con l’aumento del carburante le accise calerebbero e il prezzo si ridimensionerebbe in modo proporzionale, per compensare gli incrementi determinati dalle fluttuazioni del costo del petrolio. È stata in sostanza predisposta una misura pensata per scongiurare rialzi troppo marcati e tenere sotto controllo i prezzi. Una scelta per certi versi equilibrata, se verrà attuata, che potrebbe calmierare i costi del carburante che ormai ha una tendenza al rialzo pericolosa, con gli speculatori sempre pronti ad approfittarne.