Eva Rea

L’AUTOTUNE E’ SALITO SUL PALCO DI SANREMO

Parliamo di autotune, che qualcuno ha definito il doping della musica. Vi ricordate gli Eiffel 65? E’ un buon esempio tutto italiano di artisti che scelgono di usare massicciamente

Anche Gigi d’Agostino lo utilizzò in qualche canzone, ricordate La Passion? La prima hit americana in cui è stato protagonista è indubbiamente Believe, di Cher. Siamo nell’ultimo biennio degli anni 90. Un ruolo importante lo ha avuto anche il cantante statunitense T-Pain che, da metà degli anni duemila, ha iniziato a utilizzare ampliamente l’autotune nelle sue canzoni R&B. In Italia il primo artista a consacrare l’autotune come strumento portante della canzone è stato Sferaebbasta. Questo software considerato come il diavolo dai puristi più accaniti, associato ad un’immagine alquanto provocatoria e appariscente fatta di pellicce rosa e occhiali da donna, è stata la fortuna di Sfera. Che lo si ami o che lo si odi, purché se ne parli. Ed ecco che Sfera è in giro dal 2015 – anno in cui insieme a Ghali ha iniziato a farsi notare sulle produzioni di Charlie Charles – e nel 2018 con l’album Rockstar ha già raggiunto numeri mai visti prima in Italia.

Sette tracce su undici hanno battuto il record italiano di stream nel giorno di pubblicazione, precedentemente detenuto da Perdonami’ di Salmo. Oggi qualsiasi fruitore di musica under30 è stato abituato a sentire l’autotune nelle canzoni, certamente per l’ondata trap nella musica italiana. Si tratta di un tipo di rap ben diverso da quello a cui sono state abituate le generazioni precedenti. Il termine trap ha origini ad Atlanta e si riferisce alle trap-house, appartamenti abbandonati utilizzati per cucinare e vendere sostanze, quindi nasce con testi pieni di riferimenti a droga e spaccio. Con il tempo la trap si è contenutisticamente alleggerita, ampliata, commercializzata; il termine ‘trap’ indica oggi, generalmente, il rap melodizzato dall’autotune intorno ai 140 bpm. A volte non è neanche il caso di definire il testo come ‘rap’; alcune canzoni trap non hanno affatto metriche fitte né tantomeno incastri ricercati per quantità, anzi, a volte le rime non vengono neanche ‘chiuse’ e siamo ben lontani dal concetto del Keep It Real.

Ma cos’è l’autotune? E’ un software creato dalla Antares Audio Technologies nel 1997, che manipola l’audio permettendo di correggere l’intonazione. Qualsiasi piccolo errore nell’intonazione. Può anche volutamente creare distorsioni particolari, più forti, ma solitamente si utilizza per correggere le imperfezioni della voce cantata. L’algoritmo di funzionamento è stato ideato da Andy Hildebrand, ingegnere elettronico ed ex musicista, che scoprì come i suoi metodi per interpretare i dati sismici fossero utilizzabili per analizzare e modificare la tonalità di un file audio.

Ricordo perfettamente quanto criticarono Sfera per l’uso dell’autotune, leggevo personalmente commenti su Youtube del tipo “tu non sai cantare, la tua voce è finta, non sei un cantante”. Ricordo anche bene la più recente polemica ad Amici di Maria de Filippi, perché Biondo usava l’autotune in prima serata su canale 5.
Quest’anno, dopo tante battaglie, l’autotune ha vinto la guerra: è salito sul palco del festival di Sanremo che rappresenta dal 1956 uno dei principali eventi mediatici italiani, trasmesso in diretta tv, in radio e persino in Eurovisione, attirando l’attenzione anche dei paesi esteri. Il direttore artistico di questa edizione di Sanremo, Claudio Baglioni, ci ha tenuto a precisare sul palco dell’Ariston che “l’autotune servirà solo come effetto [..] sarà uno strumento come un altro”. Al festival ne hanno fatto uso Livio Cori (in gara insieme a Nino D’Angelo) e Achille Lauro, mentre Mahmood che ha concepito il brano ‘Soldi’ con l’autotune ha deciso di non utilizzarlo sul palco per la versione Live. La sensazione è quella di ascoltare due canzoni leggermente diverse tra di loro, ma effettivamente la melodia non cambia nella versione radio: è chiaro che l’autotune non modifica la melodia, Mahmood ha cantato senza semplicemente per sua scelta. Ermal Meta, il vincitore del festival di Sanremo del 2018 – in coppia con Fabrizio Moro con la loro ‘Non mi avete fatto niente’ – ha paragonato l’autotune al doping nell’ambito dello sport. E’ una metafora arguta, che mi strappa un sorriso.
L’uso esasperato della correzione (pitch correction) dà luogo ad effetti particolari sulla voce: se si sfocia in  una distorsione forte chiunque è portato a storcere il naso. Se sei una campana, resterai una campana anche con l’autotune. La verità è che oggi molte star famosissime lo usano moderatamente per eliminare i piccoli problemi di intonazione, anche io ne ho usufruito per delle sessioni di registrazione in studio. Non ha senso accanirsi contro questo software come non ha senso chi parla di “musica troppo artefatta”.

Oggi un’artista può essere artefatto in così tanti modi: basta pensare al margine di manipolazione concesso dai social network che creano una vita “proiettata”. Ognuno può manipolare l’idea di sé che hanno gli altri, sul web, quotidianamente. Se un’artista è puro, sarà puro anche usando l’autotune. Sarà a suo buon gusto come usare questo strumento che tutti hanno a disposizione: magari opterà per la ponderazione vivendola proprio come occasione per far trasparire al pubblico il suo essere puro.

Vi lascio con questa chicca divertente ed alquanto esaustiva per chiunque fosse ancora dubbioso sull’effetto del software: tutti gli ululati di questo cagnolone sono accordati in LA minore, grazie all’autotune.

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