Gonnella denuncia il silenzio del governo sulla scia di sangue nei penitenziari. Uspp “La situazione sta raggiungendo livelli critici”.
Roma – L’ennesimo suicidio in cella nella notte fa scoppiare la rivolta nel carcere di Pescara. Il bollettino delle morti in carcere continua a salire. Ma dall’inizio dell’anno, dichiara il presidente dell’associazione Antigone, Patrizio Gonnella. “sono stati già 13 i suicidi in carcere, una scia di sangue drammatica che il Governo continua ad ignorare, senza promuovere alcun tipo di intervento”. Gonnella fa notare che “nelle carceri registriamo ormai da tempo una tensione crescente. I numeri del sovraffollamento sono diventati insostenibili, con 16.000 persone più dei posti regolamentari. Ogni ipotesi di provvedimenti volti a
ripristinare la legalità del sistema penitenziario italiano viene puntualmente e rapidamente esclusa da parte dell’esecutivo. E i suicidi non vanno strumentalizzati per invocare ulteriori provvedimenti di repressione e di chiusura”.
Secondo Gonnella “è proprio la chiusura di molte sezioni, con le persone detenute tornate ad essere chiuse in cella per gran parte della giornata, ad avere provocato questo aumento delle tensioni. Per questo ci auguriamo che si torni invece indietro, si prendano provvedimenti urgenti che portino ad una riapertura, che si offrano prospettive ai detenuti sul fatto che la loro pena possa essere coerente con i dettami della Costituzione”. “E’ questo l’unico modo per diminuire le tensioni e garantire la qualità della vita alle persone detenute e agli operatori. Garantendo, al contempo, la sicurezza dei cittadini, avendo offerto alle persone in carcere gli strumenti per reinserirsi socialmente, anziché a fine pena spingerli fuori dalle carceri in situazioni peggiori di come vi erano entrati”, conclude Gonnella.
Come dimostra il caso di Pescara, con disordini e rivolte dopo il suicidio di un detenuto, “la situazione nelle carceri italiane sta raggiungendo livelli critici”, afferma in una nota l’Unione sindacati di Polizia penitenziaria Abruzzo riferendosi al “suicidio di un giovane detenuto con problemi psichiatrici ha innescato una violenta protesta con incendi, devastazioni e con ricoveri per intossicazione da fumo sia tra il personale di polizia che tra i ristretti, a tutt’ora la situazione pare ancora risolta – ha aggiunto – Questo evento si inserisce in un quadro nazionale allarmante: 13 suicidi tra i detenuti dall’inizio dell’anno, senza contare le aggressioni al personale penitenziario. Il problema è nazionale: la mancanza di reparti psichiatrici e di personale sanitario specializzato, fondamentali per affrontare situazioni di disagio mentale che possono portare a episodi estremi, come quello del giovane detenuto egiziano”.
Questo è “un fenomeno purtroppo diffuso: molti detenuti con patologie psichiatriche non ricevono il supporto necessario e spesso vengono lasciati in condizioni di isolamento o in celle ordinarie, aggravando il loro stato di salute mentale. Per affrontare questa crisi, sarebbe necessario potenziare le strutture per accogliere i detenuti con problemi psichiatrici, aumentare il numero di figure specialistiche e migliorare il collegamento con i servizi sanitari territoriali – ha concluso l’Unione dei sindacati – Solo così si potrebbe ridurre il numero di suicidi e migliorare le condizioni di vita sia per i detenuti che per il personale penitenziario che quotidianamente assiste e assorbe anch’esso questo disagio”.