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La risposta degli uffici giudiziari alla violenza di genere: Pinelli, “gip rapidi”

Il vicepresidente del Csm, alla Camera davanti alla Commissione sul femminicidio, ha parlato della strategia organizzativa sull’emergenza.

Roma – Sulle modalità di protezione della vittima nel corso dell’iter procedimentale, per i casi di violenza di genere, e della sua audizione, dal monitoraggio condotto dal Csm “è emerso come la quasi totalità delle Procure siano senz’altro ormai dotate di sale per l’ascolto della persona offesa vulnerabile o del minorenne e sia presente l’attenzione degli uffici alla selezione di esperti psicologi o neuropsichiatri infantili esperti nella materia”, con velocità inoltre i gip si esprimono sulle misure cautelari in tempi più celeri dei 20 giorni previsti dalla legge. Lo ha riferito il vicepresidente del Csm Fabio Pinelli nell’audizione davanti alla Commissione sul femminicidio presieduta da Martina Semenzato che lo scorso 22 gennaio aveva chiesto un approfondimento sulla riposta degli uffici giudiziari alla violenza di genere.

“Presso gli Uffici giudicanti, invece, nonostante le raccomandazioni rivolte anche da parte del Csm agli Uffici,
ancora non vi sono sufficienti aule attrezzate e non appaiono ancora consolidate linee guida comuni per le modalità di ascolto. Non sono presenti, inoltre, sezioni degli albi dei periti che indichino la specializzazione degli esperti psicologi o neuropsichiatri nell’assistenza ai minorenni o alle vittime di violenza di genere. Anche quanto agli interpreti non risultano indicati professionisti formati sulle tematiche in esame. La
situazione è anche peggiore negli Uffici giudicanti di secondo grado”, ha rilevato Pinelli.

Sempre in tema di protezione delle vittime, e con riguardo specificamente alle misure cautelari, “numerose sono le misure organizzative poste in essere da parte degli Uffici, in modo particolare dalle Procure e dagli Uffici Gip”. In relazione agli Uffici Gip, i dati acquisiti – ha sottolineato Pinelli – “permettono di rilevare che i casi sottoposti al Giudice, per la maggior parte, presentano un’urgenza che impone di provvedere in un tempo ben inferiore ai venti giorni previsti dall’attuale disciplina. Pertanto, la previsione normativa relativa al termine di venti giorni per provvedere sulla richiesta di misura cautelare, adottata in un’ottica acceleratoria, si inserisce in un quadro, sul punto, già rassicurante, essendo emersi, dalle risposte degli uffici, termini di evasione delle richieste ancor più brevi di quelli indicati dal legislatore”.

Quanto alle Sezioni dibattimentali la priorità nella trattazione dei procedimenti per violenza di genere, è
“assicurata nella maggior parte degli uffici”. E’ emerso, invece, come “il coordinamento tra gli uffici civili e penali, che si ribadisce come essenziale ai fini del contrasto ai fenomeni in esame, sia ancora in via di attuazione”, ha rilevato Pinelli. Il vicepresidente del Csm ha anche parlato della diffusione dell’uso dell’incidente probatorio tramite una adeguata formazione dei magistrati alla trattazione dei casi di violenza di genere: in questo modo, con l’incidente probatorio disposto d’ufficio, obbligatoriamente, si eviterebbe di stressare ulteriormente la vittima e si velocizzerebbero i procedimenti.

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L’incidente probatorio “se chiesto dai pm e correttamente interpretato dai giudicanti (il riferimento è alla sua sostanziale obbligatorietà), è destinato a evitare l’audizione in dibattimento della vittima e ad imprimere d’altro canto un accelerazione allo stesso processo facilitando la celebrazione di riti alternativi”. Oltre a caldeggiare una formazione giuridica dei magistrati per andare in questa direzione, Pinelli ha aggiunto che occorre anche migliorare “la capacità di comprensione e analisi in capo al giudice degli aspetti sociali e psicologi, non trascurando che l’audizione di soggetti rispetto ai quali le domande volte all’accertamento della verità potrebbero comunque essere foriere di ulteriori disagi e sofferenze”.

Per quanto riguarda la formulazione delle domande, per Pinelli “ciò implica che i giudici stessi chiamati a porre le domande ma anche le parti, e dunque il p.m. e/o i difensori, ricevano una adeguata formazione sulla modalità di formulazione delle domande stesse al duplice scopo, si badi, di non creare ulteriori danni o disagi a chi è stato vittima, ma anche di evitare che colpendone la fragilità se ne possano di fatto alterare le risposte”, ha concluso il vicepresidente del Csm.

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