La mattanza di balene alle Isole Faroe: dal 2000 oltre 20mila esemplari uccisi

Un rito secolare non più indispensabile per sfamare i villaggi. Eppure ogni maggio il rito brutale si ripete. Le battaglie per fermarlo.

A inizio maggio il mare si colora di rosso sangue quando si celebra la tradizionale Grindadráp, o in breve Grind. Alle Isole Faroe, un arcipelago dell’Atlantico sotto la giurisdizione della Danimarca, centinaia di balene e delfini pilota, chiamati globicefali, vengono uccisi in maniera particolarmente brutale: intrappolati e indirizzati con barche e suoni verso riva, dove vengono sgozzati con coltelli e arpioni sotto gli occhi di centinaia di persone che accorrono per assistere. Si tratta di un rito secolare, che oggi però non è più indispensabile per sfamare i villaggi (la carne viene suddivisa tra la popolazione). Eppure continua. ll movimento Stop the Grind, come suggerisce il nome, si batte per un divieto immediato e permanente dell’orribile rituale.

Il Grindadràp è una pesca tradizionale di balene nelle nordiche Isole Faroe che risale al 1584. A quel tempo, i Faroesi cacciavano le balene per conservarne la carne e il grasso per l’inverno, quando il cibo scarseggiava. Gli uomini scendevano sulle scogliere per uccidere gli animali e poi li dividevano tra gli abitanti. Oggi, nel XXI secolo, le Isole Faroe sono ancora un villaggio di pescatori, con la differenza che non c’è più carenza di cibo durante l’inverno. Le balene non sono più considerate una materia prima alimentare, anzi, le autorità ne sconsigliano il consumo a causa dell’elevato contenuto di mercurio.

Gli ambientalisti, soprattutto con le associazioni Sea Shepherd e Blue Planet Society, la contestano da anni la mattanza. E lanciano appelli su appelli per fermarla. La caccia alle balene chiamata “Grindadrap” che, dalle stime dell’associazione Ocean Care, in media uccide circa 700 globicefali l’anno tra balena pilota (Globicephala melas) e delfini non ha più lo spirito delle origini. Una proposta di risoluzione era arrivata dall’europarlamentare dei Verdi e membro della Commissione per la pesca e l’agricoltura del Parlamento Europeo Francisco Guerreiro. Il suo scopo è quello di fermare questa strage di cetacei anche a costo di bloccare i finanziamenti Ue destinati alle Isole Faroe.

Nello specifico, Guerreiro, con il sostegno di diverse associazioni ambientaliste come Sea Sheperd, aveva chiesto che le Isole Faroe si conformassero agli standard internazionali per la caccia ai cetacei e ha proposto la riapertura dei negoziati sugli accordi commerciali tra l’UE e il governo danese. Il fine era sospendere le importazioni di prodotti ittici dalle Faroe fino alla cessazione della ormai desueta tradizione della “Grindadrap“. La proposta prevedeva anche l’obbligo di specificare, sulle etichette dei prodotti ittici provenienti dalle Faroe, l’origine della merce, così da garantire ai consumatori tutte le informazioni necessarie per fare acquisti consapevoli.

Anche l’Islanda ha riaperto la caccia commerciale alle balene per il 2024, autorizzando l’uccisione di 128 esemplari di Balaenoptera physalus. Una decisione che stride con l’impatto diretto minimo che tale pratica ha sull’economia del Paese e che mal si concilia con il sentimento della maggioranza degli stessi islandesi che per il 51% si oppongono alla caccia alle balene. Solo lo scorso 4 maggio 40 globicefali, tra cui almeno 4 esemplari molto giovani, sono stati massacrati nella baia di Klaksvik nelle Isole Faroe, dove la pratica della “Grindadráp” continua provocando lo sterminio di almeno 800 balene pilota ogni anno. Dal 2000 ad oggi sono stati brutalmente uccisi oltre 20mila esemplari tra balene e delfini.

Una mattanza inaccettabile e crudele che non dovrebbe trovare posto nel mondo di oggi. Ma non è tutto, questi giganti del mare svolgono un ruolo fondamentale nel mitigare gli effetti del cambiamento climatico assorbendo enormi quantità di CO₂, pari a 33 tonnellate ad esemplare. Ecco perché “Marevivo” che dal 1985 lavora per la tutela del mare e dell’ambiente, contro l’inquinamento e la pesca illegale, ha scritto di recente alla Direzione Generale Ambiente della Commissione europea per chiedere lo stop di questa pratica feroce, obsoleta e anacronistica. “Non possiamo accettare – ha scritto l’associazione – una situazione in cui l’Ue venga paragonata a paesi come il Giappone riguardo alla crudeltà delle pratiche di caccia ai cetacei. Il “Grindadráp” non solo mina gli sforzi di conservazione marina, ma mette anche a rischio la reputazione dell’Ue come leader globale nella protezione ambientale e nel trattamento umano della fauna selvatica“.

Anche il Giappone sta ignorando i divieti internazionali sulla caccia alle balene. Dopo una pausa di tre decenni, l’arcipelago giapponese ha ripreso la caccia commerciale alle balene nel 2019, diventando così il più grande mercato al mondo per la carne di balena. Per molti anni i giapponesi hanno usato la scusa della caccia alle balene per scopi scientifici, una situazione in cui il divieto è esente. I balenieri forniscono alcune parti del cetaceo ai ricercatori e vendono il resto della carne per il consumo umano.

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