La fatica di essere donne nel Bel Paese

Il gender gap ormai è una solida realtà nostrana. Nel settore digitale assistiamo ad un leggero cambiamento di rotta, un nuovo inizio? O siamo già alla frutta?

Anche nei settori tecnologici domina il gender gap. Uno dei tratti negativi delle società cosiddette avanzate è il gender gap. In linea generale si tratta del divario tra i generi, con particolare riferimento alla sperequazione sociale, economica e professionale. E’ un tema delicato, tant’è che L’ONU, lo scorso 28 aprile, ha celebrato il: Girls in ICT Day , giornata mondiale promossa per sensibilizzare sul tema del gender gap anche nei settori tecnologici. Più che di sensibilizzazioni a iosa, urgono interventi concreti, altrimenti è tutta fuffa! Infatti, in Italia solo il 16% della forza lavoro è rappresentata da donne che percepiscono stipendi inferiori dei maschi.

Occupiamo la quintultima posizione in questa speciale classifica. La pandemia non ha fatto altro che esasperare questa situazione. E non è finita qui. La Commissione Europea ha reso pubblico il Women in Digital Scoreboard (Wid) riferito all’anno scorso, ovvero il quadro di valutazione dell’inclusione delle donne nei lavori, nelle carriere e nell’imprenditorialità digitali. E’ emerso un quadro a tinte fosche. In Italia, a parità di mansione, un uomo guadagna il 16% in più di una donna. Anche l’Europa non è che se la passi meglio: solo il 19% degli esperti nell’ambito dell’ICT (Information and Communication Technologies) sono donne e quasi un terzo dei laureati nelle discipline cosiddette STEM (scienze, tecnologia, ingegneria e matematica) sono di sesso femminile.

Di conseguenza anche il divario salariale, il gender pay gap, raggiunge le stesse percentuali e la situazione è talmente difficile che a parere del network Women&Technologies, Associazione Donne e Tecnologie, solo tra 134 anni si potrà avere la parità di trattamento economico. Come a dire che nemmeno una bambina nata oggi, riuscirà a godere della tanta agognata uguaglianza tra i generi. A meno che la medicina non scopra un elisir per allungare la vita fino a quell’età! Nelle Big Tech, tuttavia qualche miglioramento numerico è stato registrato. Nei ruoli tecnici di aziende, quali Facebook, Apple, Google e Microsoft, le donne impiegate sono comprese in una percentuale tra il 23 e il 25%. In Italia, c’è qualche tentativo di inversione della rotta.

Ad esempio la Primeur Group, multinazionale leader nei servizi di data integration, nel suo organigramma sta inserendo molte professioniste e, ad oggi, circa un terzo della forza lavoro è femminile, il doppio della media italiana. Un esempio da imitare, indubbiamente! L’Unione Europea ha ribattezzato questo periodo: Decennio Digitale, secondo cui entro il 2030 i lavoratori dell’ICT dovrebbero essere circa 20 milioni. Adesso non siamo nemmeno alla metà. Ci sono una serie di difficoltà da parte delle aziende. Innanzitutto, il ritardo della digitalizzazione nei processi aziendali e difficoltà di trovare professionisti competenti.

Un recente sondaggio a cura della società di ricerca New View Strategies, con sede negli USA, su un campione di professioniste del settore ICT, ha evidenziato che la mancanza di opportunità di fare carriera e la carenza di modelli di ruoli femminili da imitare sono tra le principali difficoltà che incontrano le donne. Ne è scaturito un effetto inevitabile, stando così la situazione, pare che entro i prossimi due anni il 38% ha manifestato la volontà di dimettersi dal lavoro. Sembra strano, ma lavorare in un ambiente inclusivo, rispettoso equo e in cui le opportunità di crescita professionale siano garantite a tutti, uomini e donne senza distinzione, è ancora un miraggio.

Gli ostacoli e gli stereotipi culturali sono duri da debellare. Avremmo bisogno di una classe politica che privilegi il welfare state, con una giusta miscela tra tempo di lavoro e quello riproduttivo. Per non parlare di servizi per le esigenze femminile, come asili nido e tempo per la cura. Ne avremmo tanto bisogno!

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