L’Unione Europea ha dettato le condizioni per adeguare l’efficienza energetica delle abitazioni. Obiettivo: abbattere consumi e inquinamento. La direttiva è stata proposta dall’Irlanda e Il testo ora passerà alla sessione plenaria del Parlamento europeo. Successivamente, potranno iniziare i negoziati con il Consiglio europeo per arrivare all’approvazione finale.
Milano – Tra gli obiettivi principali discussi dal Parlamento Europeo vi è quello di raggiungere zero emissioni entro il 2030 per gli edifici nuovi mentre gli edifici esistenti dovranno diventare a emissioni zero entro il 2050. Per farlo è necessario un piano di adeguamento energetico capillare in tutti gli Stati membri, sia a livello di infrastrutture sia a livello privato.
Per gli edifici residenziali già esistenti, la decisione è stata di portare i target alla classe E entro il 2030 e alla classe D entro il 2033. Una novità decisiva rispetto alla proposta iniziale della Commissione è l’eliminazione delle sanzioni, con ogni Paese membro che avrà la facoltà di decidere se adottarle o meno. Inoltre, gli Stati Ue potranno decidere di applicare dei target ad hoc sul 15% del parco immobiliare, prevedendo clausole speciali per gli edifici storici o di pregio. Le modalità dovranno essere stabilite dai singoli Stati a seconda delle esigenze dei territori.
Un rebelòt, per usare un termine dialettale milanese. In un comparto, quello dell’edilizia urbana italiana, che ha messo in risalto gravi lacune. Per questa ragione in molti si sono detti preoccupati dell’impossibilità di raggiungere gli obiettivi europei. Milioni di italiani nei prossimi anni saranno obbligati a ristrutturare casa.
Il via libera alle nuove norme comunitarie dovrebbe arrivare tra la fine di gennaio e marzo, ma resta da capire quali saranno i termini di tempo per potersi adeguare. Da quanto emerge dalla bozza, almeno il 15% del patrimonio edilizio dovrà essere portato da una classe G a una classe F entro il 2027 per gli immobili non residenziali ed entro il 2030 per quelli residenziali. Lo stesso procedimento sarà poi applicato nella soglia successiva, che dovrebbe prevedere un ulteriore ammodernamento del 25% degli edifici con classe energetica bassa entro il 2034.
A parziale consolazione, non tutti gli immobili dovranno essere ristrutturati, almeno inizialmente resteranno esonerati tutti gli edifici di culto, quelli storici sottoposti a vincoli e altre tipologie di fabbricati, come le case abitate al massimo 4 mesi all’anno e le abitazioni indipendenti che non superano i 50 mq.
Secondo la direttiva europea la classe energetica minima per gli immobili residenziali dovrà essere la E. Il grossissimo problema in Italia è che milioni di edifici, in particolare quelli costruiti prima degli anni Settanta, sono di classe F o G. Si tratterebbe di circa il 60% degli immobili complessivi. Fate due conti…
In pochi anni un’enorme quantità di costruzioni dovrebbe essere ristrutturata, con il peso enorme dei costi a carico dei cittadini, delle domande per le imprese e delle sovvenzioni a carico dello Stato. Gli incentivi pubblici sarebbero un’incognita, considerando le migliaia di euro necessarie per i singoli lavori di ammodernamento nelle abitazioni e il ritardo cronico nei cantieri, inasprito dall’ammasso di domande per il Superbonus.
Un’operazione elefantiaca, ancor più considerando le criticità emerse negli ultimi mesi con il Superbonus 110%. Per ora non sono previste sanzioni, ma chi non effettuerà i lavori richiesti per cambiare classe energetica avrà sicuramente un crollo del valore della propria casa.
L’associazione dei costruttori edili Ance dichiara: “La capacità tecnica di realizzare gli interventi c’è, ma bisogna avere la politica e gli strumenti per tenere questo ritmo e raggiungere l’obiettivo”. Opera poi una stima per questo processo di rinnovamento edilizio sostenendo che i tempi necessari per riqualificare tutto il patrimonio immobiliare italiano alle nuove regole sarebbero folli. La riqualificazione del 15% degli edifici energivori fissata al 2023 infatti non sarebbe raggiungibile prima di 630 anni. ci vorrebbero 3.800 anni, invece, per la decarbonizzazione generale dell’Europa prefissata entro il 2050.
La speranza è che la Direttiva si limiti a rappresentare una specie di “cornice” entro cui i membri della UE dovranno poi agire e facendo leva sul fatto che in ogni caso l’obbligo riguarda gli Stati e non i singoli contribuenti. Quindi dobbiamo metterci nelle mani dei presenti e futuri governi nostrani, augurandoci che non seguano pedissequamente direttive imposte dall’alto da chi evidentemente ha poca contezza delle differenze territoriali presenti sul territorio del Vecchio Continente.