Sessant’anni dopo il disastro del Vajont, un’altra catastrofe potrebbe palesarsi con la costruzione di una diga nella Valle del Vanoi. Migliaia di vittime, connivenze, complicità e una certa politica da strapazzo non ci hanno insegnato nulla?
Roma – Si è appena commemorata la “strage del Vajont” avvenuta il 9 ottobre 1963, quando una frana di dimensioni mai viste precipitò sulla diga del Vajont, tra le più alte del mondo. Le conseguenze furono terrificanti: cinque paesi spazzati via come fuscelli e quasi duemila vittime. Anche questa fu una tragedia annunciata, come tante, troppe, verificatesi in questo nostro sciagurato Paese. Basti ricordare il recente alluvione che ha colpito l’Emilia-Romagna nel maggio scorso con danni e lutti. Tutti eventi provocati, anche, dall’insipienza e sciatteria di chi è deputato al controllo e ha voltato il capo dall’altra parte, facendo finta di nulla. Si parlò, allora di bacini artificiali che non dovevano essere costruiti in quei luoghi perché avrebbero potuto causare danni alle montagne, come puntualmente avvenne.
L’impresa proprietaria del bacino aveva da qualche tempo iniziato ad abbassare il livello dell’acqua dell’invaso, innescando lo scivolamento della montagna. Prima della tragedia c’erano stati continui segnali: la conformazione dei terreni mutava in maniera repentina, gli alberi dei boschi di piegavano verso valle. E non era un modo per… genuflettersi, ma per urlare il loro dolore! Sono trascorsi sessant’anni, ma la lezione non è stata recepita. Lo scolaro continua ad essere indifferente e insensibile. A scuola ci hanno insegnato che “historia magistra vitae” (la storia è maestra di vita). Ma non per la nostra classe dirigente, che sembra essere “dura di comprendonio” e di storia, sembra, saperne pochissimo.
Una notizia di questi giorno ha confermato l’assunto sui nostri governanti. La Regione Veneto intende costruire una diga di 116 metri nella Valle del Vanoi, ubicata tra Belluno e Trento. Con questa grande intuizione (!) verrebbe creato un lago artificiale particolare, in quanto lungo e stretto, la cui capienza d’acqua arriverebbe a 33 milioni di metri cubi d’acqua, addirittura triplicando la grandezza dell’attiguo bacino artificiale del lago Schener. L’area circostante è caratterizzata da un elevato rischio di smottamenti, tanto è vero che la Provincia di Trento l’ha inclusa in zona P4, ovvero il livello più elevato di rischio idrogeologico. Nel 2010 si verificò una frana in prossimità della zone dove si vorrebbe costruire il grande lago, che causò la disintegrazione di un centinaio di metri della vecchia strada provinciale.
Quale immane tragedia sarebbe accaduta, se si fosse costruito il grande bacino artificiale? Oltre all’incapacità di apprendere dalle esperienze passate, la nostra classe dirigente sembra vittima di quella che in psichiatria è definita “coazione a ripetere”. Ovvero la “tendenza incoercibile, del tutto inconscia, a porsi in situazioni penose o dolorose, senza rendersi conto di averle attivamente determinate, né del fatto che si tratta della ripetizione di vecchie esperienze”. Nel caso in questione, ci troviamo di fronte a un caso ancora più nocivo. Altro che inconscia, la situazione dannosa è voluta, quella dolorosa lo è per gli altri non per il responsabile dell’atto. La cronaca dal dopoguerra in poi, non ci trasmette ottimismo. Tutt’altro, visto l’impunità dei tanti responsabili dei disastri provocati.
Anzi, vengono pure premiati. Come nel caso di Atlantia della famiglia Benetton, la società che ha gestito la rete autostradale italiana fino al crollo del ponte Morandi a Genova, il 14 agosto 2018 che provocò 43 morti. Ebbene, il 5 maggio 2022 è stato completato il passaggio della quota di Atlantia alla Holding Reti Autostradali spa e Cassa Depositi e Prestiti. Affare fatto: ai Benetton non solo non è attribuita alcuna responsabilità, ma ci hanno pure guadagnano 8 miliardi di euro! Per la cronaca: i cittadini della zona hanno lanciato una petizione per opporsi all’obbrobrio. Speriamo bene.