La “cicatrice francese”, ultimo trend giovanile. C’è da preoccuparsi?

Un fenomeno scaturito da TikTok si sta diffondendo tra i ragazzi del nostro paese. Alcuni parlano di allarme. Ma dobbiamo preoccuparci o è una semplice goliardata adolescenziale?

Milano – Da tre dirigenti scolastici di altrettante scuole medie bolognesi proviene un nuovo “allarme” relativo all’ultima tendenza figlia dei social. Il suo nome è “cicatrice francese”. Di primo acchito si potrebbe supporre che stiamo celiando, in realtà è tutto vero. È una forma di autolesionismo “made in social”, ovvero un livido sul volto autoinflitto con un forte pizzicotto che lascia un segno rossastro per un paio di settimane.

Rileggete pure, ma la sostanza non cambia, è così. Pizzicotto e conseguente rossore/livido. Motivo? Non ci sbilanciamo e lasciamo ai posteri il compito di formulare una sentenza più che ardua. Al momento ciò che resta è un trend giovanile che porta a un gesto autoinflitto visibile, con scopi che restano reconditi nei vicoli bui della psiche giovanile. Il fenomeno ha ovviamente allarmato insegnanti e dirigenti scolastici di due scuole del capoluogo felsineo. Alla vista dei ragazzi con il viso tumefatto in classe il primo pensiero è corso immediatamente a episodi di bullismo.

Ci sono tutorial per procurarsi il segno sul volto.

Nulla di tutto ciò. La scaturigine dell’inconsueta pratica è TikTok, ormai fonte inesauribile di qualsivoglia bizzarrìa, dove ci sono nientemeno che tutorial che insegnano come procurarsi un segno rosso da manuale. In pratica: si prende tra due dita la guancia e la si stringe fino a creare un ematoma di colore rosso. Da qui i video che vengono condivisi sui social (reel, ndr) in cui i ragazzi o le ragazze mostrano anche con un certo autocompiacimento il segno rosso. Quando si vuole strafare poi i segni possono anche essere più d’uno, con la guancia che viene trasformata in un unico, enorme ematoma color rosso pompeiano, per dirla con parole del ragionier Fantozzi.

Il lato positivo della cosa è che il gesto in sé non è particolarmente pericoloso, non stiamo parlando del Seppuku di nipponica memoria né di gesti indotti da oscuri gruppi social che, come abbiamo avuto purtroppo modo di riscontrare in passato, hanno condotto anche a suicidi adolescenziali. No, qui si tratta di un semplice pizzicottone. Quello che inquieta è ciò che sta dietro a tale rituale, banale da un punto di vista meccanico, ma da non sottovalutare dal profilo psico-sociale, come ha puntualizzato argutamente la dirigente scolastica dell’Istituto Comprensivo 12 di Bologna, Filomena Massaro: “Allarma un gesto che all’apparenza può sembrare privo di significato, ma in realtà è una forma di autolesionismo“.

C’è chi parla di fenomeno quasi burlesco, chi lo cataloga come “roba da nulla” chi addirittura, scorgendo una verosimile e plausibile forma di “appartenenza” a un gruppo, si è addentrato in un tortuoso e fuorviante parallelismo con i Tontons Macoutes: nome popolare dei Volontaires de la sécurité nationale, la brutale milizia paramilitare creata da Papa Doc, il dittatore haitiano François Duvalier. Gente non propriamente amichevole, torturatori seriali, che solevano marchiare le vittime provocando cicatrici nel migliore dei casi. Fenomeno di appartenenza quello dei ragazzi, sì, siamo d’accordo, ma i Tontons Macoutes in questo caso non c’entrano assolutamente nulla.

I Tontons Macoutes di Papa Doc a Haiti.

Unitamente all’ipotesi del marchiare sul proprio corpo un segno riconoscibile per ostentare la propria appartenenza a un gruppo, più banalmente potrebbe essere una condotta stupida per far vedere che “si è duri e tosti” e che si propaga per emulazione. La cicatrice, fa figo. In entrambi i casi, l’importante è che non sfoci in esasperazioni ancor più beote o addirittura si trasformi in altri “passatempi” più pericolosi. Il problema risiede nella genesi del gesto e nel meccanismo che si attiva nella mente di chi lo pratica, più che negli effetti, dato che in 10-15 giorni tutto svanisce, epidermicamente parlando. Ossia ragazzi che da un social network apprendono e attuano, anziché magari storie e gesti virtuosi, una cretinata simile e pappagallescamente la copiano ergendola come atto di distinzione sociale.

Per questo il ruolo genitoriale nella guida all’utilizzo responsabile dei social diventa cruciale. Obiettivo, più facile a dirsi che a farsi, quello di trovare un equilibrio, avvertendo i più giovani dei rischi della buia spirale di alcune “mode”, e dirottandoli magari sugli aspetti positivi che i social media indubbiamente hanno. Banalità delle banalità: se utilizzati in modo giusto, i social possono rappresentare un veicolo di competenze per i più giovani. Un formidabile mezzo per apprendere aspetti tecnico-creativi, di comunicazione e di collaborazione con il prossimo. Basta sceglierne l’uso più opportuno. Citando il compianto Mario Brega in un cult movie degli anni ’80: “Questa mano po’ esse piuma o po’ esse féro”. Ecco, usarla per farsi lividi di certo non è la via maestra…

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