La Corte europea dei diritti dell’uomo ha riconosciuto la responsabilità dello Stato. Il giovane ha un disagio psichico, tentò il suicidio 20 volte.
Roma – La Corte europea dei diritti dell’uomo ha riconosciuto la responsabilità dello Stato italiano per la violazione del diritto alla salute e alle cure mediche di Simone Niort, un giovane con problemi psichiatrici che si trova da otto anni in carcere in Italia, dall’età di diciannove anni, e durante questo tempo avrebbe tentato il suicidio una ventina volte. Avrebbe compiuto anche atti di autolesionismo. A riferirlo è il presidente di Antigone, Patrizio Gonnella. “La Corte ritiene che le autorità nazionali non abbiano dimostrato di aver valutato in modo sufficientemente rigoroso la compatibilità del suo stato di salute con la detenzione – spiega il legale di Niort, Antonella Calcaterra – accertando la mancata esecuzione di un provvedimento giudiziario che disponeva il trasferimento del ricorrente in una struttura penitenziaria più adatta alle sue gravi condizioni”.
“Sebbene non vi sia un obbligo generale di liberare una persona detenuta per motivi di salute, in certe situazioni il rispetto dell’articolo 3 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo, che vieta i trattamenti inumani e degradanti, può imporne la liberazione o il trasferimento in una struttura di cura. Ciò si verifica, in particolare, quando lo stato di salute del detenuto è talmente grave da rendere necessarie misure di carattere umanitario, oppure quando la presa in carico non è possibile in un contesto penitenziario ordinario, rendendo necessario il trasferimento del detenuto in un servizio specializzato o in una struttura esterna”. In particolare il ricorrente era una persona affetta da importanti disturbi psichiatrici, appurati da una relazione compilata da un tecnico nominato d’ufficio che, dopo un periodo di osservazione psichiatrica aveva accertato che la malattia di Simone si era aggravata ulteriormente in carcere dove il giovane aveva sviluppato una “sindrome reattiva al carcere”, come racconterà uno degli avvocati che ha curato il ricorso alla Cedu.

Una relazione che rimane tuttavia riservata e che il ricorrente e il suo difensore non riusciranno a vedere. A leggerla fu invece l’ufficio di sorveglianza che nel novembre 2022 indica che Simone ha un disagio che lo rende incompatibile con lo stato detentivo, ordinando al Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria di di individuare un istituto penitenziario che potesse farsi carico e seguire il disagio psichico dell’uomo. Una richiesta che non riceve nessuna risposta, neanche nella sua reiterazione nel 2023, perché – spiegava ancora l’avvocato Antonella Mascia in un articolo su l’Unità del febbraio 2024 – era stata rivolta all’amministrazione non competente, cioè il DAP, mentre sarebbe dovuta essere inoltrata all’autorità amministrativa sanitaria competente.
Nel frattempo il ricorrente aveva continuato a tentare il suicidio più volte e a commettere numerosi atti di autolesionismo. Una condizione che aveva portato il suo difensore, insieme agli avvocati Antonella Mascia, Antonella Calcaterra e al docente di diritto pubblico dell’Università Statale di Milano Davide Galliani, a rivolgersi ai giudici di Strasburgo che hanno condannato l’Italia. “La Corte – dichiara l’avvocato Antonella Calcaterra – ha rilevato la mancanza di un adeguato trattamento medico e di una presa in carico da parte delle autorità competenti, nonostante la gravità accertata dei suoi disturbi psichiatrici. In particolare, oltre a riconoscere la vulnerabilità del ricorrente, ha ritenuto che le autorità nazionali non abbiano dimostrato di aver valutato in modo sufficientemente rigoroso la compatibilità del suo stato di salute con la detenzione”.

La Corte ha inoltre “accertato la violazione del diritto di accesso a un tribunale, garantito dall’articolo 6 § 1 della Convenzione, a causa della mancata esecuzione di un provvedimento giudiziario che disponeva il trasferimento del ricorrente in una struttura penitenziaria più adatta alle sue gravi condizioni. Infine ha riscontrato la violazione dell’articolo 38 del regolamento della Corte per il mancato rispetto dell’obbligo, da parte dello Stato italiano, di fornire tutte le informazioni necessarie e richieste espressamente per accertare i fatti della causa”, conclude l’avvocato.