Confermate le assoluzioni per i personaggi coinvolti: i carabinieri del ROS Mario Mori, Antonio Subranni e Giuseppe De Donno. Con loro l’ex senatore di Forza Italia Marcello Dell’Utri. Anche le accuse verso i boss mafiosi, condannati in appello, si sono sciolte come neve al sole finendo in prescrizione.
Roma – Una sentenza che lascia l’amaro in bocca quella pronunciata dalla Corte di Cassazione in merito alla trattativa tra Stato e Cosa Nostra. Dopo anni di indagini, inchieste, depistaggi, molti sospetti e poche certezze tutto si è chiuso con un nulla di fatto sconcertante.
La “trattativa Stato-mafia” è il sottofondo che ha accompagnato negli anni ’90 il periodo delle stragi mafiose e che ha portato a sospettare su alcuni organi dello Stato che avrebbero trattato con la criminalità organizzata siciliana per porre fine alla mattanza. Le istituzioni avrebbero dunque ricambiato la cortesia assicurando un atteggiamento più morbido nei confronti della mafia stessa e dei boss in carcere. Non c’è bisogno di rammentare Capaci e via D’Amelio, ma giova ricordare che le stragi hanno strappato anche vite innocenti negli attentati di Milano, Firenze e Roma. E non solo.
La Cassazione ha quindi confermato le assoluzioni del 2021 nel processo di appello per l’ex senatore Marcello Dell’Utri e gli ex carabinieri Mario Mori, Antonio Subranni e Giuseppe De Donno. Gli imputati erano accusati di “minaccia ad un corpo politico”. Non solo, è stata cambiata la formula dell’assoluzione: in appello i carabinieri erano stati assolti perché le loro azioni “non costituivano reato”, ovvero veniva dato per certo che i militari avessero dialogato con la mafia, ritenendo però che lo avessero fatto solo per investigare e senza esercitare pressioni su politici e ministri per cedere alle richieste mafiose. Ora invece, nemmeno quello. I tre ne escono totalmente lindie puliti, poiché la Suprema Corte ha deciso che “non hanno commesso il fatto”, negando pertanto che questo dialogo sia mai occorso.
Il verdetto ribalta gli esiti delle indagini dei Pm Nino di Matteo e Antonio Ingroia, che condussero al verdetto di primo grado dell’aprile 2018: Mori, Subranni, Dell’Utri e Cinà furono condannati a 12 anni di carcere, De Donno a 8. L’ex ministro dell’Interno Nicola Mancino, accusato di falsa testimonianza, fu assolto.
In sostanza viene riconosciuto che una minaccia c’é stata o, in subordine per lo meno tentata, da qualche parte, ma alla fine non c’è nessun responsabile o colpevole. Bizzarro. Come se non fosse successo nulla, un colpo di spugna che lava le colpe, ma lascia a terra le pozze di sangue sparse per la Penisola degli eroi morti per mano della mafia, mentre lo Stato stava a guardare. Così parlarono gli Ermellini.
Ma forse non tutto è perduto: “Adesso è arrivato il momento di concentrarsi sul ‘nido di vipere’ di cui parlava Paolo Borsellino… Si sono persi tanti anni preziosi. Ora, finalmente, c’è spazio per la verità storica“. A parlare all’agenzia di stampa Adnkronos è l’avvocato Fabio Trizzino, legale della famiglia Borsellino e marito di Lucia Borsellino, commentando una sentenza di cui si parlerà ancora a lungo. Nel bene e nel male.