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Italia ‘sprecona’, 13 miliardi di cibo finiscono nel bidone

Nella Giornata contro lo spreco alimentare il report Waste Watcher lancia l’allarme, ‘I poveri mangiano peggio e buttano più avanzi’.

Roma – Nel bidone finiscono ben 13 miliardi di cibo, ogni italiano butta mezzo chilo di alimenti a settimana per un costo di 290 euro a famiglia. Lo spreco alimentare è un dramma, in un mondo consumistico dove chi sta bene ha i frigoriferi sempre più grandi e più pieni, a fronte di famiglie sempre più piccole. Un dato che emerge su tutti: anche i più poveri buttano cibo nella spazzatura. Se non si sta attenti, lo spreco alimentare aumenta. Secondo i dati del monitoraggio Waste Watcher, che escono in contemporanea con la Giornata contro lo spreco alimentare istituita il 5 febbraio, la frutta fresca è l’alimento più sprecato del pianeta, in particolare in Italia.

Al secondo posto, nella top ten degli sprechi, le insalate e la verdura. E se si mangia fuori, esiste una rete di ristoranti e gastronomie spreco zero, dove acquistare l’invenduto della giornata, telefonando o attraverso un app. Prodotti secchi che, di fatto, non scadono, sono solo da consumarsi preferibilmente entro una certa data, ma durano ancora settimane o mesi. Ora, una legge vuole rendere obbligatoria la doggy bag, ma in molti ristoranti è una pratica abituale. Altra buona pratica, dice il Report, è selezionare il fogliame durante la pulizia delle verdure: parte finisce nelle zuppe, parte torna ai piccoli produttori locali che ne fanno compost. Ma per contrastare lo spreco alimentare bisogna partire dai ragazzi.

Nel Rapporto Waste Watcher, che cade nell’undicesima Giornata nazionale per la prevenzione dello spreco alimentare, l’Italia registra un allarme più alto degli anni scorsi riguardo il fenomeno. Il nostro Paese risulta sprecone: nel bidone finiscono ben 13 miliardi di cibo, e lo buttano anche i poveri. Risale infatti nel Bel Paese lo spreco alimentare: a casa si passa da 75 grammi di cibo buttato ogni giorno a testa nel 2023, a quasi 81 grammi nel 2024, in pratica oltre mezzo chilo (566,3 grammi) a settimana. Si tratta dell’8,05% di spreco in più rispetto a un anno fa, per un costo l’anno a famiglia di 290 euro e di 126 euro pro-capite.

Ogni italiano spreca mezzo chilo di alimenti a settimana

La fotografia del report sul ‘caso Italia’ mostra un maggiore spreco nelle città e nei grandi Comuni (+ 8%) e meno nei piccoli centri e a buttare più cibo sono le famiglie senza figli (+ 3%) e i consumatori a basso potere d’acquisto (+17%); un fenomeno più accentuato al Sud (+ 4% rispetto alla media nazionale) e meno a Nord (- 6%). Conti alla mano lo spreco complessivo di cibo in Italia vale oltre 13 miliardi: un dato vertiginoso che include quello domestico, che incide per quasi 7,5 miliardi, quello nella distribuzione di quasi 4 miliardi, oltre allo spreco in campo e nell’industria, molto più contenuto.

L’effetto prolungato dell’inflazione abbassa, infatti, il potere d’acquisto e indirizza verso cibo di peggiore qualità e più facilmente deteriorabile; un consumatore su 2 cerca alimenti a ridosso di scadenza per risparmiare, il 41% sceglie il discount a scapito del negozio, il 77% ha intaccato i risparmi per fare fronte al costo della vita, il 28% ha tagliato ulteriormente il budget per la spesa alimentare. Ma la questione dello spreco di cibo è legata all’allarme sociale: chi si dichiara ‘povero’ mangia peggio e spreca di più (+17%).

Per promuovere consapevolezza e recupero in cucina e arrivare a eliminare il concetto di spreco, nel suo undicesimo anno di attività, l’Associazione di Promozione Sociale Tempi di Recupero, fondata da Carlo Catani, che accoglie chef innovativi, osti lungimiranti, gelatieri talentuosi, artigiani creativi, bartender esperti, vignaioli appassionati e curiosi di enogastronomia da ogni angolo del globo, ripresenta fino all’11 febbraio la Tempi di Recupero Week.

Chi aderisce all’iniziativa propongono le loro idee di cucina circolare attraverso un particolare menu o una ricetta del riuso, con prodotti di artigiani e vignaioli del recupero, da intendere declinati in tre accezioni: l’uso integrale delle materie prime, come il quinto quarto; il recupero di avanzi del giorno prima; la preservazione della tradizione con il recupero dei saperi storici tramandati. Il tutto a favore di un potenziamento della consapevolezza anti-spreco.

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