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Italia-Germania, asse anti-sanzioni su Israele: Tajani blocca le misure Ue

Il ministro degli Esteri italiano insieme a Berlino frena le proposte di Bruxelles. “Iniziamo con i coloni violenti, poi vedremo”.

L’Italia si conferma tra i principali oppositori delle sanzioni europee contro Israele, schierandosi al fianco della Germania per bloccare le misure proposte dalla Commissione Europea contro il governo di Netanyahu. Durante il consiglio informale dei ministri degli Esteri a Copenaghen, Antonio Tajani ha ribadito la posizione contraria di Roma alle sanzioni, pur ammettendo che Israele “ha superato il limite della reazione legittima dopo l’attacco del 7 ottobre”.

La strategia italiana emerge chiaramente dalle parole del ministro degli Esteri: “Iniziamo con le sanzioni ai coloni violenti, più coloni e più sanzioni, e se poi non funziona si possono studiare altre tappe”. Una posizione gradualista che punta a colpire prima i coloni estremisti della Cisgiordania, senza chiudere completamente alla possibilità di misure future contro i ministri israeliani che incitano alla violenza.

L’asse Roma-Berlino che blocca l’Europa

Il peso dell’Italia nel bloccare le iniziative europee è amplificato dall’alleanza con la Germania. Prima del consiglio informale, Tajani e il suo omologo tedesco Johann Wadephul hanno avuto un bilaterale che ha confermato “identità di vedute” sia sul dossier ucraino che su quello israeliano. Un asse che si rivela decisivo: se una delle due capitali cambiasse posizione, la maggioranza qualificata necessaria per le sanzioni si troverebbe facilmente.

Attualmente il gruppo minoritario che si oppone alle misure della Commissione comprende Germania, Italia, Repubblica Ceca, Ungheria, Bulgaria, Romania e forse Austria. Un blocco sufficiente per impedire l’approvazione delle sanzioni, ma dove Roma e Berlino rappresentano il vero peso politico ed economico.

Le pressioni per andare oltre

Dall’altra parte si schierano Paesi come Olanda, Svezia e Danimarca (Paese ospitante), che chiedono misure ancora più dure: sospensione del capitolo commerciale dell’accordo di associazione con Israele, boicottaggio dei prodotti dalle aree occupate della Cisgiordania e sanzioni dirette contro i ministri estremisti del governo Netanyahu.

Benjamin Netanyahu

La proposta attualmente sul tavolo, considerata già “debole” da molti, prevede solo la sospensione dei fondi per le start-up israeliane nell’ambito del programma Horizon, per un valore di 170 milioni di euro sull’arco pluriennale. Una misura simbolica che non riesce a trovare il sostegno necessario nonostante serva solo la maggioranza qualificata e non l’unanimità.

Kallas: “Divisi, non abbiamo voce”

La frustrazione per lo stallo emerge dalle parole dell’alto rappresentante Kaja Kallas: “Siamo divisi, non c’è modo d’indorare la pillola, e se non abbiamo una posizione unica non abbiamo voce sulla scena globale”. Un’ammissione di debolezza che fotografa l’incapacità dell’Unione di trovare una linea comune su uno dei dossier più delicati della politica internazionale.

Kaja Kallas

Il paradosso è che fonti diplomatiche evidenziano come la Germania abbia già “bruciato molto capitale politico” con l’embargo parziale alle armi verso Israele, misura considerata ben più pesante dello stop ai fondi per le start-up. Eppure Berlino mantiene la sua opposizione alle sanzioni formali.

La strategia italiana tra equilibri e cautele

La posizione di Tajani riflette la tradizionale politica estera italiana, attenta a mantenere equilibri nel Mediterraneo e nei rapporti con tutti gli attori regionali. L’approccio gradualista – prima i coloni, poi eventualmente altro – permette all’Italia di non apparire completamente allineata con Israele mantenendo però un freno alle iniziative più punitive.

La strategia italiana si basa anche sulla convinzione che misure troppo drastiche potrebbero essere controproducenti, spingendo Israele verso un isolamento che non favorirebbe né la pace né la stabilità regionale. Una cautela che riflette anche i forti legami economici e di sicurezza che Roma mantiene sia con Israele che con i paesi arabi della regione.

Un’Europa che non decide

Il caso delle sanzioni a Israele diventa così emblematico delle difficoltà dell’Unione Europea nel prendere decisioni di politica estera quando sono in gioco interessi nazionali diversi. Mentre Kallas aveva proposto una sessione speciale per esplorare metodi per superare l’obbligo dell’unanimità, il tempo è mancato.

L’impasse rischia di compromettere la credibilità europea proprio mentre altri attori globali prendono posizioni più nette. Come ha avvertito Kallas: “Io sento che le persone in Europa perdono la fiducia se non siamo in grado di prendere delle decisioni”.

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