La popolazione locale è arrivata anche a tagliarsi i capelli a zero pur di salvare il proprio paese: assemblando le capigliature si riescono a creare vere e proprie spugne capaci di assorbire quantità non indifferenti di idrocarburi sversati in mare.
Isole Mauritius – Un nuovo disastro ambientale, l’ennesimo ormai negli ultimi tempi. A sud-est delle Isole Mauritius una petroliera ha disperso in mare una quantità sproporzionata di petrolio, delineando così tempi durissimi per tutto l’ecosistema marino e non solo.
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La vicenda si è aperta il 25 luglio scorso, quando la MV Wakashio, di proprietà della società Nagashiki Shipping e battente bandiera panamense, si è scontrata contro la barriera corallina a causa dello sfavorevole clima del momento. Una volta fatto evacuare l’equipaggio, la nave è rimasta per più di dieci giorni arenata senza apparenti danni materiali. Il 6 agosto, invece, ha cominciato a riversare in mare il greggio che aveva a bordo, costringendo le autorità mauriziane, nella figura del primo ministro Pravind Jugnauth, a dichiarare lo “stato d’emergenza ambientale”. In una settimana, tempo che è servito per placare il versamento, il mercantile ha perso un carico di mille tonnellate (circa un quarto del suo intero approvvigionamento).
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Naturalmente, i primi a reagire all’evento sono stati gli abitanti del luogo i quali, preoccupati per le sorti del loro paradiso, si sono adoperati come potevano per recuperare quanto più olio combustibile dalle loro acque. Utilizzando canapa e altri tessuti vegetali alcuni mauriziani sono riusciti a mettere in atto un sistema rudimentale di filtraggio. Altri sono arrivati persino a tagliarsi i capelli pur di salvare il proprio paese: infatti, assemblando le capigliature si riescono a creare vere e proprie spugne capaci di assorbire quantità non indifferenti di idrocarburi (si parla di circa 8 kg di petrolio per 1 kg di capelli).
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Nei giorni seguenti all’operazione di “salvataggio” nella zona di Pointe d’Esny si sono aggiunti una nave della marina francese e un gruppo di esperti arrivati in aereo; il Giappone, paese della società responsabile del mercantile, si è mobilitato inviando un team di sei professionisti, pronti così a coadiuvare le attività. La totale evasione del petrolio a bordo si è infine conclusa grazie al trasporto in elicottero delle quantità pompate fuori dai serbatoi, che rischiavano di finire anch’esse in mare qualora la petroliera fosse definitivamente collassata su se stessa.
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Una volta arginata la prima crucialissima fase del disastro l’attenzione si volgerà, anzi si è già volta, verso le responsabilità occorse tra l’incagliamento e la dispersione del greggio. Il governo del paese a est del Madagascar si è pronunciato contro l’armatore giapponese, facendogli richiesta di giusto risarcimento per la catastrofe verificatasi. L’esecutivo locale, tuttavia, dovrà rispondere anch’esso della propria colpevolezza, in quanto non ha immediatamente provveduto allo svuotamento della nave, potendo certamente prevedere quanto poi effettivamente accaduto, ovvero la rottura delle fiancate dalle quali si è disperso l’ingente quantitativo di carburante.
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Probabilmente ci vorrà ancora del tempo per ricostruire a fondo gli eventi che stanno tutt’ora sconvolgendo le Mauritius, ma il danno già arrecato all’ambiente sembra tutt’altro che reversibile. Proprio come già avvenne, dieci anni fa, con l’esplosione della piattaforma Deepwater Horizon, che allora fece rovesciare nel Golfo del Messico qualcosa come 500 milioni di litri di “oro nero”. Il petrolio: una risorsa ancora indispensabile per l’uomo ma altrettanto deleteria per la nostra natura. Forse proprio per questo lo chiamiamo oro nero.
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