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In Cina la povertà sembra abolita

L’indigenza può essere definita come una condizione umana caratterizzata da privazione continua e cronica delle risorse, capacità, scelte, sicurezza e potere necessari per poter godere di uno standard di vita adeguato ed altri diritti civili, culturali, economici, politici e sociali. A Pechino e dintorni pare sia stato spazzato via il disagio di non essere ricchi.

Roma – Questa condizione ha caratterizzato tutti i tipi di società fino ad oggi, anche quelle a capitalismo avanzato e con una struttura politica democratica. A dimostrazione che è una “piaga sociale” difficile da estirpare. Eppure nella Cina attuale pare che ci siano riusciti. Due anni fa il presidente Xi Jinping dichiarò, trionfante, che “la vittoria contro la povertà estrema” era stata raggiunta, dopo un duro lavoro durato otto anni. Inoltre, “di aver compiuto un miracolo che passerà alla storia”. Strano che un leader comunista che si richiama all’ateismo parli di miracolo che è più una prerogativa strettamente religiosa. Ma tant’è! Il capo di Stato cinese esaltò il ruolo del Partito Comunista Cinese (PCC), come motore trainante del progetto.

Xi Jinping

Com’è noto in Cina il partito e lo Stato sono un tutt’uno e tutte le cariche governative sono ricoperte da tesserati del PCC. Per sconfiggere la povertà la Cina ha investito circa 200 miliardi di euro dal 2012 quando è partito il piano con l’elezione di Xi Jinping. Secondo le fonti statali, da allora oltre 10 milioni di persone all’anno sono state sottratte da uno stato di indigenza, per un totale complessivo di quasi 99 milioni di cinesi. Per indigenza estrema, il governo cinese intende la percezioni di un reddito pro capite al di sotto di circa 510 euro annui, pari a 1,3 euro al giorno. Cifra che è inferiore alla soglia globale di 1,53 euro, stimata dalla Banca Mondiale. La strategia cinese ha concorso per oltre il 70% al contenimento del fenomeno su scala mondiale e l’aspetto strabiliante è che c’è riuscita con 10 anni di anticipo rispetto all’obiettivo dell’ONU, fissato per il 2030.

A quasi 100 anni dalla nascita del Partito Comunista Cinese, i media nazionali, controllati dal potere politico, hanno esultato per la vittoria del modello socialista. Ma sarà poi vero quello che raccontano le fonti ufficiali? I vari commentatori dei giornali occidentali sul posto, hanno confermato che la povertà estrema è stata debellata. Ma, sono stati utilizzati metodi che difficilmente possono essere trasferiti nelle democrazie occidentali. Come quello che è capitato ai cittadini delle aree rurali più disagiate, costretti ad essere insediati nelle aree urbane, rinunciando alla propria, seppur povera, casa e recidendo le proprie radici culturali. Oltre ai traslochi obbligati, spesso si sono verificate demolizioni di villaggi abbandonati ed espropriate terre che, per generazioni, erano state di proprietà di singole famiglie.

Lotta contro la povertà in un contesto non democratico

Un esempio che non ha nulla di democratico, ma che è imposto dall’alto con metodi spicci. D’altronde cosa ci si aspettava da uno Stato dittatoriale, che elimina gli oppositori e non rispetta i diritti umani? Rose, fiore e buone maniere forse? In sistemi del genere qualsiasi operazione politica, anche efficace e di successo, viene espletata con metodi coercitivi. Inoltre, il sistema burocratico del Paese è farraginoso per le sue elefantiache dimensioni e con un alto tasso di corruzione. I cittadini provenienti dalle zone rurali devono registrare il nuovo domicilio. Ma la procedura verrebbe ostacolata e l’accesso al welfare sarebbe più complicato. Infine per il raggiungimento dell’obiettivo, si sta facendo uso di strumenti assistenziali, ma quando finiranno i bonus si teme che molti potrebbero percepire un reddito al sotto della soglia di indigenza. Ed il problema si ripresenterebbe. Altro che sconfitta della povertà!

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