Il primo presidente Cassano sul linciaggio dell’ex direttore di Regina Coeli: “Un richiamo alla riaffermazione dello Stato di diritto”.
Roma – Una targa in ricordo di Donato Carretta affissa in Corte di Cassazione. A ottant’anni dal tragico linciaggio del direttore del carcere di Regina Coeli in una Roma in preda al giustizialismo, sulla scalinata del “Palazzaccio” c’è stata la cerimonia per la scopertura della effige in ricordo del funzionario ucciso. L’evento ha visto la partecipazione, tra gli altri, della prima presidente della Cassazione e del ministro della giustizia, Carlo Nordio. Un episodio quello di Carretta che “inorridisce perché dimostra la ferocia della folla quando vuole farsi giustizia da sé”, ha detto il Guardasigilli. Infatti l’ex direttore del carcere di Regina Coeli il 18 settembre 1944 venne trucidato dalla folla nel giorno del processo al questore di Roma, Pietro Caruso. “Vittima in questo luogo della cieca violenza della folla”. Recita così la targa inaugurata.
“Credo che sia una lezione – ha detto Nordio – sul fatto che, indipendentemente dai fatti che uno può avere commesso, la giustizia è prerogativa assoluta dello Stato e la legalità formale e sostanziale deve prevalere su qualsiasi forma di emotività”. Ad ottant’anni da quell’episodio, la Corte suprema ha deciso di rendere omaggio al funzionario ucciso dal linciaggio del popolo, alla presenza anche dei familiari non solo dell’ex direttore del carcere ma anche di Angelo Salvatori, il tranviere che si rifiutò di passare sul corpo inerme di Carretta posto dalla folla sulle rotaie proprio davanti al palazzo di giustizia.
“La targa commemorativa di Donato Carretta, – ha detto la prima presidente della Corte di Cassazione, Margherita Cassano – per questa comunità di giuristi che opera all’interno della Corte, vuole essere un monito. Un richiamo alla riaffermazione dello Stato di diritto, della razionalità e del rispetto rigoroso delle regole sancite dalla nostra Carta Costituzionale, a fronte dei pericoli che sono insiti nell’emotività e nella cieca furia della folla”. “Monito affinché – ha aggiunto Cassano – non si ripetano episodi simili di violenza cieca e brutale. E soprattutto stimolo a interrogarci tutti quanti dei pericoli sottesi a climi di violenza, che siano permeati dalla totale mancanza di rispetto per la dignità e il valore della persona, dalle regole della solidarietà, dal rispetto del dialogo e del confronto che sono i fondamenti di ogni democrazia. La violenza può portare a risultati inarrestabili, spetta a noi far prevalere la razionalità”.
Nell’Aula Giallombardo della Suprema corte, dopo la scopertura della targa, si è svolta una rievocazione dei fatti che condussero alla morte di Donato Carretta, con l’intervento di Walter Veltroni, autore del libro ‘La condanna’, e del professor Gabriele Ranzato, che ha scritto il testo ‘Il linciaggio di Carretta’. L’ex sindaco di Roma nel libro ripercorre la storia attraverso un giovane giornalista a cui il caposervizio chiede di trovargli della documentazione sul caso Carretta. Il cronista alle prime armi non ne sapeva nulla. Da quel momento si entra in una storia crudele con la vittima sacrificale al centro. La storia torna indietro al 18 settembre 1944. Siamo a Roma, poco dopo l’ingresso degli Alleati nella Città Eterna, nel momento più fosco della storia italiana del XX secolo. La popolazione è esacerbata dalle violenze del periodo di occupazione tedesca e soprattutto dall’episodio terribile dell’eccidio delle Fosse Ardeatine.
In quel giorno l’attenzione è catalizzata dal processo al questore di Roma Pietro Caruso, accusato di gravi responsabilità nel massacro. Davanti alla sede del processo, il “Palazzaccio”, la montagna di travertino e sculture ministeriali che si innalza sulla riva sinistra del Tevere, si è radunata una folla pericolosamente ansiosa di ottenere giustizia. L’udienza viene però rinviata, e a quel punto la folla, temendo si volesse proteggere l’imputato, rompe il cordone delle forze dell’ordine ed entra nel cortile del tribunale al grido di “Morte a Caruso!”.
La sua attenzione viene a questo punto attirata da un altro uomo, l’ex-direttore del carcere di Regina Coeli Donato Carretta, che era stato convocato come testimone a carico. Carretta è riconosciuto e vituperato da alcuni presenti, che lo accusano della morte dei loro congiunti: si distinguono in particolare una donna che aveva perso il marito e un’altra il cui figlio era stato torturato e ucciso dai tedeschi. La trappola mortale scatta.