Fino a quando non si disporrà di un codice legislativo comunitario in grado di combattere in maniera organica le devianze organizzate europee il mercato delle armi avrà un futuro roseo e remunerativo.
I recenti colpi inflitti dalla magistratura al clan dei Casalesi e al clan dei Cappello-Bonaccorsi, ci obbligano a fare il punto della situazione sulle mafie italiane e sui rapporti che mantengono con le organizzazioni criminali straniere. Per le necessità imposte dal mercato e dalla globalizzazione, in questi anni, abbiamo visto una progressiva espansione dei rapporti commerciali tra le mafie estere e quelle italiane. Tra i business illeciti più floridi che coinvolgono l’Italia c’è quello del traffico d’armi. In questo campo, la ‘ndrangheta, può vantare un ruolo assolutamente di primo piano a livello internazionale.
L’Italia, terra di confine tra il cuore del Continente e i Balcani occidentali, è un luogo di transito fondamentale per questa tipologia di commercio e questo fatto regala alle varie organizzazioni locali un vantaggio fondamentale in termini di monopolio. Sebbene le indagini nazionali e internazionali incorrano spesso in rallentamenti per quanto riguarda questo mercato nemmeno tanto occulto, diverse stime, come quella della SIPRI, evidenziano che circa il 20% delle armi piccole o leggere legalmente costruite vengono inghiottite dal mercato illecito per poi scomparire nel nulla. Inoltre l’industria italiana, insieme a quella statunitense e tedesca, è tra le maggiori esportatrici delle SALW (Small Arms and Light Weapons). Il nome però non deve creare illusioni: nonostante questo tipo d’armamento sia classificato come leggero, secondo quanto riportano le statistiche del Global Burden of Armed Violenze, le SALW sono responsabili del 44% delle uccisioni violente a livello globale. In base alle diverse indagini svolte dagli inquirenti sono stati individuati tre principali modalità di fabbricazione illecita delle armi: la riproduzione di copie, la creazione attraverso stampanti 3-D e la produzione domestica in laboratori privati. Quest’ultima variante è particolarmente diffusa nel Sud Europa e in Italia vanta cospicue attività di riproduzione. È facile desumere che gran parte di questo affare colossale transiti per le mani delle mafie locali.
Così come aveva sottolineato qualche tempo fa l’Europol, la ‘ndrangheta, i gruppi criminali albanesi e la sacra corona unita sono tra le organizzazioni europee più coinvolte nel traffico illecito delle armi. Proprio il valico italo-balcanico è tra le rotte più calde per quanto riguarda questo mercato di morte. Questo particolare trova sicuramente le proprie radici nelle guerre degli anni ’90 nell’ex Jugoslavia, dove una domanda crescente di armamenti aveva trovato il suo sbocco commerciale alla fine del conflitto nel mercato nero europeo.
“…Lungo questa rotta – evidenzia l’IRIAD, Istituto Relazioni Internazionali Archivio Disarmo – si intrecciano gli interessi e i commerci delle organizzazioni mafiose italiane di cosa nostra, ‘ndrangheta, camorra e sacra corona unita che, fin dagli anni ’90, sono dedite a traffici, non solo di armi, in collusione con le mafie balcaniche, in particolar modo con quella albanese. Tali gruppi hanno aperto canali per trafficare armi nei Balcani occidentali utilizzando rotte criminali già esistenti: le organizzazioni utilizzano infatti i circuiti del traffico illegale di armi solo come business secondario, per espandere i contatti ed ampliare le proprie rotte e infrastrutture, dato che i proventi di questo commercio sono nettamente minori rispetto alle principali fonti di guadagno di questi gruppi, ovvero il traffico di droghe e di esseri umani…”.
Una volta ultimato lo scambio per gli inquirenti diventa difficile tracciare il percorso delle armi che possono finire nei meandri più disparati del pianeta. Nel 2015 aveva ottenuto una discreta notorietà l’operazione delle Forze dell’Ordine italiane che stroncava un traffico d’armi tra la Sicilia e Malta. Secondo le ricostruzioni fornite successivamente quelle armi erano destinate ai carnefici dei lager libici. Secondo uno studio eseguito dalla Small Arms Survey, in Italia ci sono più di otto milioni di esemplari di armi leggere in circolazione, legali e non. A rendere ancor più imbarazzante la vicenda è il fatto che molte di queste provengono direttamente dal mercato legale. Tra le metodologie per sottrarre le SALW al mercato legale, le mafie nostrane hanno battuto la strada a quelle internazionali, sperimentando un percorso alternativo: il furto nelle armerie di privati o della stessa polizia:
“…Nella ricerca sulla violenza mafiosa – analizza Monica Massari, professoressa Associata di Sociologia – realizzata per Small Arms Survey è emerso come sia nel caso della camorra che di cosa nostra le rapine alle armerie siano sempre state il metodo più diffuso per rifornirsi di armi, proprio come è avvenuto nella stagione del terrorismo. O anche armi rubate dalle caserme di polizia: il clan dei Casalesi, ad esempio, è riuscito a impossessarsi di un gran quantitativo di armi proprio attraverso questa modalità. Sempre in quella ricerca era emerso come circa il 70% dei furti di armi a danni di privati cittadini in Campania, fosse falso: le pistole, cioè, non vengono rubate, ma spesso sono cedute volontariamente ai mafiosi che, in questo modo, si assicurano armi ‘pulite’ per compiere omicidi e altri reati…”.
È sempre più evidente come le mafie italiane e balcaniche portino avanti, congiuntamente, grossi affari in diversi comparti illegali. Combattere la criminalità in maniera parcellizzata potrebbe essere una grande debolezza. Fino a quando non si disporrà di un codice legislativo comunitario in grado di combattere in maniera organica le devianze organizzate europee il mercato delle armi avrà un futuro roseo e remunerativo. Spesso non perseguibile per via di leggi e codici non univoci e uguali per tutti gli Stati membri dell’UE, ad esempio. E sempre che non ci siamo nazioni a cui tutto questo fa comodo.