PARLA DELL’IMMIGRATO PER NASCONDERE IL BOSS

Il vecchio trucco della comunicazione funziona ancora: parla di un argomento per occultarne un altro.

All’attento lettore sicuramente non sarà sfuggito che, negli ultimi tempi, certi poteri politici hanno preferito veicolare l’interesse dei cittadini sul fenomeno dell’immigrazione clandestina e non sulle gravissime tematiche di ordine pubblico, morale, economico, sociale e politico che sono ascrivibili e riconducibili ai fenomeni mafiosi! È lecito porsi qualche domanda e, ove possibile, darsi qualche risposta.

Le organizzazioni criminali, note come Mafia, ’Ndrangheta, Camorra, Sacra Corona Unita, senza tralasciare quelle di importazione sudamericana o cinese ed altre da cui è afflitto ed ammorbato il territorio nazionale, non sembrano essere più argomento di interesse per una parte degli italiani, o almeno sono diventate, perché tralasciate dalla stampa e dai mass media, problematiche di minore impatto sociale. Certo, il mafioso se cammini per strada non lo riconosci, non ha aspetto diverso dal nostro: veste come noi, parla come noi, frequenta gli stessi posti affollati dalla maggioranza delle persone, assiste alle funzioni religiose e partecipa alle processioni di Santi e Madonne, anche se, poco prima, ha sciolto nell’acido un bimbo innocente o messo una bomba sotto l’auto, o la casa, di generali e magistrati.

caporalato in Sicilia

L’immigrato no, lo vedi subito, in piccoli gruppi che si affannano a pulire il vetro della tua auto, o a decine sui camion trasportati, trattati peggio delle bestie dai caporali nei campi ove lavorano, sino allo sfinimento, a pane, acqua ed un giaciglio di pagliericcio. Questi sono, per una certa politica, il pericolo numero uno per il nostro Paese. Cosa importa loro comprendere il perché, il come, il dove, il quanto, le organizzazioni criminali abbiano attecchito e si siano sviluppate nell’intero paese, talora occupando e gestendo vasti territori in concorrenza con le stesse legittime organizzazioni sociali, politiche ed economiche. Non fa audience, non porta consenso e, soprattutto, non fa vincere le elezioni!

Eppure, la concorrenza della criminalità organizzata allo Stato di diritto ha determinato un danno economico e un freno allo sviluppo sociale in moltissime aree del nostro Paese, ben più grave di qualsiasi altro fenomeno antigiuridico ed illegale. A pagare il prezzo più alto di tale presenza criminale, ormai diffusasi sull’intero territorio nazionale, sono state le forze dell’ordine, la magistratura, gli uomini della buona politica e molti comuni cittadini che hanno saputo dire no alla prevaricazione, alla prepotenza, ai ricatti, alle minacce ed alla violenza, pagando tale resistenza con la vita stessa e l’angoscia ed il dolore dei propri cari. Pochi, al contrario, e degni di ben poca nota, sono i casi di criminalità ascrivibili direttamente agli immigrati.

È di lotta alla mafia che si deve riprendere con forza a parlare. Oggi possiamo dire che moltissima strada è stata fatta, poiché sono stati assicurati alla giustizia e puniti con le giuste pene moltissimi uomini e donne macchiatisi di efferati delitti di stampo mafioso. Ma sarebbe un errore ritenere che questo cancro della nostra società civile sia stato sconfitto mentre, al contrario, si deve mantenere alta la guardia e ferma la mano della repressione, ma aperta la mente sulla prevenzione. Ciò in primo luogo deve avvenire attraverso la maggiore sensibilizzazione possibile tra i banchi di scuola, seguendo l’insegnamento di una delle vittime della mafia, il sacerdote siciliano Pino Puglisi, che diceva:

A questo può servire parlare di mafia, parlarne spesso, in modo capillare, a scuola: è una battaglia contro la mentalità mafiosa, che è poi qualunque ideologia disposta a svendere la dignità dell’uomo per soldi.

La piovra, come figurativamente è stata definita la mafia e tutte le altre similari organizzazioni criminali, attraverso i suoi tentacoli ha messo radici in ogni settore produttivo ed economico/finanziario del Paese, nulla tralasciando, tutto sfruttando ove possibile. Accanto ai settori tradizionali, nel corso dei decenni che si sono succeduti, la mafia si è sviluppata quantitativamente e “qualitativamente”, tornando ad occupare settori “antichi”, che sembrava avere abbandonato per dedicarsi ad affari assai più redditizi quali la droga, il pizzo, le armi, lo scempio del territorio attraverso la dissennata cementificazione del paesaggio e quant’altro, e che invece ha riesumato: la agromafia e la zoomafia all’interno della più ampia criminalità ambientale.

La mafia, prevalentemente al sud ed in Sicilia, svolge nell’ambito dell’agricoltura numerose attività illecite in tale sequenza che si può addirittura affermare che il crimine controlla il settore dalla coltivazione dai campi sino alla nostra tavola, senza soluzione di continuità tra i vari passaggi produttivi e lo smercio degli stessi prodotti.

Dal rapporto dell’EURISPES e della Coldiretti si apprende che, per costruire e mantenere il dominio in tale settore agroalimentare, i clan mafiosi ricorrono a tutte le tipologie di reato tradizionali: usura, estorsione, abusivismo edilizio, furti di attrezzature e mezzi agricoli, abigeato, macellazione clandestina, danneggiamento delle colture ed incendi dolosi. Il tutto, non tralasciando di porre mano al riciclaggio il danaro sporco, all’utilizzo di beni di provenienza illecita, alla contraffazione dei marchi, all’illecita concorrenza attuata anche attraverso la minaccia o la violenza ed al trasferimento fraudolento di beni mobili e immobili. Si tratta di un affare colossale stimato in oltre 15 o 16 miliardi di euro ogni anno. Le conseguenze di tutto questo sono devastanti per l’economia agroalimentare onesta, ed addirittura minano nel profondo gli stessi marchi di eccellenza dei prodotti italiani più rinomati e richiesti all’estero. Non solo, ma conseguenza è anche l’annientamento della concorrenza e del libero mercato legale, e lo strangolamento dell’imprenditoria sana. Ciò oltre all’aumento dei prezzi dei prodotti agroalimentari attraverso la costituzione di veri e propri monopoli gestiti in ogni fase e passaggio, ivi compresa quella della attività di intermediazione e trasporto dei prodotti, così com’è stato compiutamente analizzato dalla DIA (direzione investigativa antimafia). Non meno odioso, in tale contesto, è il fenomeno tristemente noto come caporalato, la nuova schiavitù, soprattutto ai danni degli immigrati africani, che attua nella maniera più pressante possibile, lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, facendo ripiombare le tutele del mondo del lavoro di centinaia di anni indietro.

ecomafia

Non meno inquietante è ciò che è stato definito con il termine zoomafia, ambito criminale che trae giovamento e profitto dal controllo di attività illegali che hanno al centro il mondo animale. Un fenomeno questo, esteso in tutto il territorio italiano e gestito anche attraverso la collaborazione delle criminalità organizzate nostrane con quelle straniere. Si tratta di un giro di affari illeciti stimato in non meno di 3 miliardi di euro l’anno, riguardante oltre ai traffici di cani e gatti con finti pedigree nonché di animali esotici, il bracconaggio e il contrabbando di fauna selvatica. Non solo, ma anche le scommesse illegali sulle corse clandestine dei cavalli (spesso drogati con derivati della cocaina), che da sole costituiscono circa un terzo dell’intero fatturato, nonché i combattimenti tra cani.
L’esecuzione di tale barbarie, che oggi rappresenta una delle attività illecite più redditizie, nella quale venivano utilizzati animali di grossa taglia e di razze selezionate per eccellere nei combattimenti e renderli ancora più cruenti, avveniva impiegando animali derivanti da furti e contrabbando con l’est europeo, attraverso la tratta dei cuccioli. Ed ancora il racket ittico, la macellazione clandestina, i furti di
bestiame e le sofisticazioni alimentari, che in un certo senso costituiscono la saldatura e l’interazione tra la zoomafia e la agromafia.

Tutto questo sembra invisibile ma è reale, come dimostrato da decine di fascicoli penali aperti in molte Procure della Repubblica. Eppure se ne parla e se ne scrive sempre di meno, perché il contrasto al fenomeno mafioso, mai tralasciato dalle forze di polizia e dalla magistratura e da coraggiose associazioni antimafia, in termini politici paga poco, molto, ma molto di meno, che l’urlare ai quattro venti la necessità “vitale” per il nostro Paese, della chiusura dei porti alle carrette della disperazione, anche a costo di sacrificare vite umane, salvo poi ostentare, baciandolo, un Rosario “dissacrato” davanti a bagnanti miopi e gaudenti che hanno dimenticato il primo dei messaggi cristiani.

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