Non è solo un proverbio, ma una filosofia di vita: ecco perché oggi più che mai il silenzio ha un potere curativo, riflessivo e rivoluzionario.
È proprio vero che le tradizioni popolari confermano la loro arguta saggezza. È il caso dell’iconico motto “Il silenzio è d’oro”, ossia la considerazione secondo cui, in alcune situazioni, tacere è meglio che parlare e, quindi, il silenzio può essere più prezioso delle parole. Soprattutto quando la situazione richiede cautela, riflessione e le parole potrebbero arrecare danni.
Eppure nelle pratiche culturali dell’oriente, il silenzio è associato al raggiungimento della tranquillità interiore, a un senso di equilibrio e all’unità della mente. La veridicità di queste condizioni è stata verificata dal punto di vista delle neuroscienze e della psicologia.
Nel nostro Paese è possibile vivere la pratica del silenzio nei vari monasteri zen e buddisti distribuiti sul territorio nazionale. In questi luoghi viene insegnata l’arte del silenzio, che assume maggiore valore proprio in questo periodo storico in cui il parlare a voce alta, lo sbraitare si sono trasformati in potere. Si assiste ad un continuo raccontare di sé, ad una tracimazione di like, post prodotti più dall’impulso che dalla riflessione. La quantità è valore assoluto, a discapito della qualità.

In una situazione siffatta, il silenzio costituisce quasi una frantumazione dell’identità. In realtà le filosofie orientali invitano ad allontanarsi dai rumori del mondo, per ascoltare sé stessi e a cercare la propria identità dentro di sé. Il silenzio ha la potenza di pulire e liberare la mente dall’intrusione di parole che possono essere polvere o dardi pericolosi.
In realtà non è un allontanamento dalla società, perché col silenzio si ha la percezione di tutte le sensazioni interiori rispetto a quelle esterne, condizione questa che non si ha quando questa condizione è assente. Quando si è superato il primo stadio di smarrimento nello stare in silenzio con altre persone, si avverte che l’altro è già uguale a sé stessi. Inoltre, non va dimenticato che alla base delle parole c’è proprio il silenzio. Non impedisce, ma valorizza la comunicazione.

La nostra lingua, forse, è la più idonea per praticare il silenzio, in quanto è ricca di pause: punti, punti e virgole, virgole, due punti, puntini sospensivi. Il silenzio non equivale all’imposizione di stare zitti. E’, al contrario, un mondo inesplorato, aperto ad ogni nostro pensiero che spazia per la mente e i cui strepitii vanno lasciati liberi di attraversarla, cercando di non avere reazione di pancia, ma di costruire riflessioni. Il silenzio, quindi, va assecondato e non ostacolato, bisogna abbandonarsi ad esso, tanto la realtà intorno a noi si manifesta a prescindere della nostra presenza, tanto vale farla scorrere.
Il contesto sociale impone la quantità delle azioni, più se ne compiono, maggiormente ci si sente idonei. Invece il silenzio aiuta alla riflessione, all’ascolto e ci invita a comprendere ciò che più si desidera, scartando quello che non lo è. Un tempo si diceva “chi si ferma è perduto!”. Al contrario, “chi si ferma rinasce”, perché prendersi una pausa e uno spazio di silenzio produce benefici al corpo e all’anima. Perché il silenzio può essere più eloquente delle parole stesse. Oppure, come scrisse Aldous Huxley, celebre scrittore britannico, “Il silenzio è una discussione portata avanti con altri mezzi”. Chissà!