L’attacco al cuore dello Stato delle Brigate Rosse: il commando uccise i 5 uomini della scorta e sequestrò per 55 giorni il presidente Dc.
Roma – Sono passati 47 anni dal sequestro di Aldo Moro. Il 16 marzo 1978, l’automobile su cui viaggiava il presidente della Democrazia Cristiana fu fermata in via Fani, a Roma, da un nucleo armato delle Brigate Rosse che uccise i cinque uomini della scorta e rapì Moro. Il rapimento di Moro durò 55 giorni, ed è stato raccontato in molti libri e molti film. Il 9 maggio successivo il suo corpo senza vita fu fatto ritrovare all’interno del bagagliaio di un’auto parcheggiata in via Caetani, nella Capitale. La morte dello statista segnò la fine del cosiddetto “Compromesso storico”, l’avvicinamento tra Dc e Pci, di cui Moro era stato uno dei grandi fautori. Oggi, dalle 9, a via Fani, la cerimonia commemorativa del rapimento dell’onorevole Aldo Moro.
Valer Biscotti, il legale dei familiari dei caduti nella strage di via Fani, ha annunciato all’ANSA che presenterà istanza alla procura di Roma affinché venga ascoltato l’ex brigatista Lauro Azzolini. “Presenterò
istanza nei prossimi giorni – ha detto – affinché Azzolini venga ascoltato in relazione all’intercettazione del marzo 2023, resa nota dall’inchiesta della giornalista Simona Zecchi, dove dice che in via Fani c’era anche un altro soggetto mai indagato”.
“Il 16 marzo 1978, via Fani a Roma, divenne teatro di una delle pagine più buie e dolorose della nostra storia repubblicana con il rapimento di Aldo Moro – ricorda sui social il presidente del Senato, Ignazio La Russa – e l’uccisione dei suoi cinque uomini della scorta: Raffaele Iozzino, Oreste Leonardi, Domenico Ricci, Giulio Rivera e Francesco Zizzi. Fu un attacco diretto delle Brigate Rosse allo Stato e ai valori democratici. Una ferita profonda che scosse l’Italia ma dalla quale sapemmo reagire con forza e unità a difesa dei valori democratici. Rinnovare oggi il ricordo di quell’attentato significa onorare la memoria di uomini coraggiosi ma anche riaffermare il valore della libertà che sconfisse terrorismo e paura”.
“Il ricordo del rapimento di Aldo Moro e dell’omicidio di cinque agenti della sua scorta è una ferita ancora aperta nella storia del nostro Paese. Coltivare la memoria – sottolinea il presidente della Camera, Lorenzo Fontana – di quel tragico giorno significa rendere omaggio alle loro vite, al loro coraggio e al loro impegno e riaffermare i valori della democrazia”. La ministra per le Riforme istituzionali e la semplificazione normativa, Elisabetta Casellati, in un post su Facebook, scrive che “oggi l’Italia ricorda uno dei più gravi attacchi allo Stato della sua storia, la strage di via Fani, il rapimento di Aldo Moro e il sacrificio degli uomini della sua scorta: Il 16 marzo 1978 le Brigate Rosse colpirono al cuore la Repubblica, tentando di piegarne le istituzioni. Ma risvegliarono anche l’orgoglio e la determinazione di un intero Paese. La reazione dell’Italia, unita, portò alla vittoria della democrazia sul terrorismo. Via Fani resta una ferita indelebile e un monito per ogni generazione: la libertà e la democrazia non sono mai conquiste definitive, vanno difese ogni giorno, con fermezza e unità”.
Su X il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, ricorda “con immutabile commozione e profondo rispetto, uno dei giorni più drammatici della storia della nostra Repubblica: il rapimento Moro in via Fani, in cui persero tragicamente la vita cinque eroi silenziosi: gli uomini della sua scorta Raffaele Iozzino, Oreste Leonardi, Domenico Ricci, Giulio Rivera e Francesco Zizzi. Quell’attacco criminale non fu solo un colpo allo Stato, ma un’offensiva contro i valori più profondi della democrazia e della convivenza civile. La memoria di questi fatti è un monito e un’eredità preziosa che ci sprona, oggi più che mai, a rafforzare il nostro impegno nella difesa di quei valori e per la protezione della sicurezza di tutti i cittadini”.
Ance Piero Fassino, vicepresidente della commissione difesa della Camera, ricorda poi come in quelle ore “inizia la più lunga e drammatica crisi della Repubblica che culminerà nell’assassinio di Moro. E il terrorismo colpirà ancora per alcuni anni prima di essere sconfitto dall’azione dello Stato e dalla mobilitazione democratica. Non dimentichiamo quanto dolorosa è stata la lotta per difendere la democrazia. E rendiamo sempre onore ad Aldo Moro e alle tante vittime innocenti cadute per mano di chi voleva distruggere la nostra libertà”.
E ancora, in una nota, il vicepresidente della Camera e deputato di Forza Italia, Giorgio Mulé, sottolinea che “non sarà mai il tempo a sbiadire la forza dell’esempio e la potenza della memoria su quel che accadde il 16 marzo 1978 in via Fani a Roma, con l’eccidio degli uomini della scorta Moro. “Sacrificarono la loro vita per difendere i valori fondanti della democrazia dal terrorismo, li chiamiamo a ragione ‘eroi’ e guardiamo a loro – conclude – come modelli da seguire in un’epoca ancora inquinata da quella ideologia
che pretenderebbe di umiliare la sovranità popolare con la violenza”. Poco prima delle 9 del mattino del 16 marzo 1978, Aldo Moro uscì dalla sua casa, in viale del Forte Trionfale, e salì su una Fiat blu con due componenti della scorta. Dietro la sua auto c’era un’altra vettura, un’Alfetta bianca con a bordo gli altri uomini che facevano parte della sua protezione.
L’agguato teso dalle Br scattò quando la macchina su cui viaggiava Moro entrò in via Fani: l’auto del presidente della Dc sbatté con una Fiat 128 che gli aveva tagliato la strada. In pochi secondi il commando terrorista saltò fuori davanti al bar “Olivetti” sparando sull’auto della scorta uccidendo sul colpo gli agenti Giulio Rivera e Raffaele Iozzino. Il vicebrigadiere Francesco Zizzi perse la vita poco dopo, all’ospedale Gemelli. Morirono anche l’appuntato Domenico Ricci e il maresciallo Oreste Leonardi che erano nell’auto di Moro. Il presidente della Dc venne invece catturato dai brigatisti. La Fiat usata per l’agguato venne ritrovata più tardi ed esattamente un’ora dopo, alle 10 in punto, il gruppo terroristico rivendicò l’attentato: “Attacco al cuore dello Stato”.
Nel corso dei suoi 55 giorni di prigionia, Aldo Moro scrisse 86 lettere indirizzate, in gran parte, ai vertici della DC. Alcune non furono mai recapitate ai destinatari. In occasione dell’ultimo anniversario della morte, lo scorso 9 maggio, il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella lo ha voluto ricordare con queste parole: “…Lo straziante supplizio a cui Moro venne sottoposto – ha affermato il capo dello Stato – resterà una ferita insanabile nella nostra storia democratica. Respinta la minaccia terroristica, oggi ancor più sentiamo il dovere di liberare Moro e ogni altra vittima da un ricordo esclusivamente legato alle azioni criminali dei loro assassini…”.
Il nipote Luca Moro ha voluto ricordare il nonno con una toccante canzone, dal titolo “Maledetti voi”, che accompagna le scene finali del film di Renzo Martinelli “Piazza delle cinque Lune”. “Il 16 marzo arriva sempre come una ghigliottina, – le sue parole – come una ghigliottina perfettamente affilata, ma sporca, lurida, annerita, arrugginita, macchiata ed intrisa di un sangue antico e il suo tonfo è sordo e grave. L’eco di questo tonfo è nero come la pece e si dipana e stride aprendo le porte ad un abisso di dolore dilaniante. Dolore disumano che frantuma l’anima. Dolore che vorrei poter, idealmente, non provare più. Questo giorno, il 16 marzo, è segnato da un’efferatezza senza pari che, come uno tsunami, ha travolto e smembrato pezzo per pezzo i nostri cuori e le nostre vite ed inoltre ha purtroppo significato la “Morte Politica” del nostro paese. Una vera sconfitta. La più amara!”.
I “tempi che stiamo vivendo sono il risultato dell’assenza di un Aldo Moro. Tempi bui, tempi che mio nonno, nella sua straordinaria lungimiranza, aveva previsto. Aveva perfettamente chiaro cosa ne sarebbe stato di questo Paese senza di lui. Cosa, forse, non sapeva – povero nonno – è ciò che sarebbe stato per noi il “Dopo”!”.