Il segreto bancario svizzero è indebolito, ma in alcune zone d’ombra la mafia ricicla ancora

La normativa elvetica, inoltre, è considerata dall’International Press Institute una minaccia per la libertà di stampa.

Ogni anno, il 3 maggio, il mondo celebra il World Press Freedom Day, giornata istituita dalle Nazioni Unite nel 1993 per sottolineare l’importanza di un sistema mediatico libero e indipendente, pilastro fondamentale delle democrazie. In questa occasione, la Vrije Universiteit Brussel (VUB), in collaborazione con Journalismfund Europe e altre prestigiose istituzioni giornalistiche europee, organizza un dibattito sull’argomento e conferisce un premio a chi si è distinto per il coraggio e l’impatto del proprio lavoro. Quest’anno, il riconoscimento è stato assegnato a IrpiMedia, testata indipendente del centro di giornalismo nonprofit IRPI (Investigative Reporting Project Italy), definita nelle motivazioni “una spina nel fianco per la criminalità organizzata” per il suo impegno dal 2011 contro corruzione e malaffare.

Tuttavia, il premio arriva in un momento di tensione: IrpiMedia, insieme a partner internazionali come OCCRP, Paper Trail Media, Tamedia e Le Monde, si trova a gestire le conseguenze di una possibile azione legale – per ora ritirata – legata a un’inchiesta sul segreto bancario svizzero e sulle pratiche della banca Reyl, acquisita nel 2021 da Intesa Sanpaolo, che avrebbe posto in essere violazioni delle normative internazionali antiriclaggio ignorando indicatori di rischio nell’apertura e gestione di conti di alcuni clienti.

Ecco i fatti secondo la ricostruzione di IrpiMedia: il 9 aprile, in collaborazione con Le Monde, OCCRP, Tamedia e Paper Trail Media, la testata pubblica un’inchiesta sila banca Reyl, con sede a Ginevra e parte del gruppo Intesa Sanpaolo, che sarebbe stata per quattro anni sotto il controllo della FINMA, l’autorità di vigilanza finanziaria svizzera, per presunte violazioni delle normative internazionali antiriciclaggio.

Le carte ottenute dai giornalisti, incluse comunicazioni riservate tra Reyl e FINMA, l’autorità di vigilanza finanziaria svizzera, dipingono un quadro preoccupante: la banca avrebbe ignorato indicatori di rischio nell’apertura e gestione di conti di clienti ad alto rischio. Tra questi figurano politici russi, prestanome legati a famiglie di autocrati dell’ex Unione Sovietica, e persino commercialisti coinvolti nel riciclaggio di denaro proveniente dal traffico di cocaina.

Quando i giornalisti hanno contattato Reyl per un commento, la risposta è arrivata non dalla banca, ma dallo studio legale svizzero Schellenberg Wittmer. Gli avvocati hanno contestato il contenuto dell’inchiesta, sostenendo che le informazioni fossero state ottenute illegalmente e che la loro pubblicazione potesse configurare reati come la violazione del segreto bancario (articolo 47 della Legge Bancaria svizzera) e del segreto commerciale (articolo 162 del Codice Penale). I legali hanno minacciato una denuncia penale, sottolineando che i dati riservati in possesso dei giornalisti rappresentavano un “reato” e che Reyl non avrebbe fornito commenti.

Il ritiro della ventilata azione legale non chiude il caso, che resta per il momento soltanto sospeso. Soprattutto non risolve il problema strutturale: le leggi svizzere sul segreto bancario continuano a rappresentare una minaccia per la libertà di stampa, al punto che l’International Press Institute (IPI), lo scorso 28 aprile ne ha chiesto una riforma urgente, definendolo “draconiano” e sottolineando il rischio che venga usato per criminalizzare il giornalismo di interesse pubblico.

Un tempo pilastro intoccabile della finanza elvetica, il segreto bancario ha subito una trasformazione radicale negli ultimi decenni, ma nel 2025 conserva ancora zone d’ombra che lo rendono uno strumento utile per il riciclaggio di denaro delle mafie italiane. Introdotto ufficialmente nel 1934, il segreto bancario garantiva una riservatezza quasi assoluta, attirando capitali da tutto il mondo, inclusi quelli di origine illecita. Tuttavia, le pressioni internazionali, culminate nello scambio automatico di informazioni (CRS) del 2018, hanno eroso gran parte di questa impenetrabilità. Nonostante ciò, lacune normative, strumenti finanziari opachi e la neutralità svizzera continuano a offrire spiragli per le organizzazioni criminali, come ‘ndrangheta, camorra e cosa nostra.

La Svizzera non è più il “paradiso fiscale” di un tempo. Dal 2016, il Codice Penale Svizzero punisce il riciclaggio di proventi da reati fiscali aggravati, e la collaborazione con autorità estere è diventata più fluida, grazie a trattati come quelli con l’OCSE e l’Egmont Group. Le banche, sotto la vigilanza della FINMA, sono obbligate a identificare i beneficiari effettivi e segnalare operazioni sospette all’MROS (Ufficio di comunicazione in materia di riciclaggio). Tuttavia, il sistema presenta vulnerabilità. Le mafie italiane, secondo il procuratore Nicola Gratteri, sfruttano la Svizzera non per controllare il territorio, ma come hub per riciclare denaro e investire in attività lecite, spesso con la complicità di “colletti bianchi” locali.

Un esempio emblematico è il caso Suisse Secrets (2022), che ha rivelato come Credit Suisse abbia gestito conti di criminali, inclusi affiliati alla ‘ndrangheta, senza adeguati controlli. Tra il 2004 e il 2008, la banca ha riciclato oltre 70 milioni di franchi per il narcotrafficante bulgaro Evelin Banev, legato alla cosca Bellocco, dimostrando che il sistema, pur riformato, può essere aggirato. Nel 2025, strumenti come le criptovalute e le società offshore amplificano queste vulnerabilità. Le monete virtuali offrono un anonimato che sfugge ai controlli, e la Svizzera non ha ancora ratificato i protocolli della Convenzione di Budapest sulla criminalità informatica, rallentando le indagini.

Le mafie italiane, con un giro d’affari stimato da Eurispes in 130 miliardi di euro annui, utilizzano tecniche sofisticate: dai money mules, che trasferiscono fondi tramite conti di prestanome, all’hawala, un sistema di trasferimento informale che bypassa i circuiti bancari. La Svizzera, con la sua stabilità politica e finanziaria, rimane attraente per investire in settori come l’immobiliare o le cartolarizzazioni, spesso mascherando capitali illeciti come profitti leciti.

Nonostante i progressi, la lotta al riciclaggio è ostacolata da risorse investigative limitate. Il segreto bancario, pur indebolito, sopravvive in forme indirette, come la protezione dei dati per i residenti svizzeri e la lentezza nella cooperazione con procure straniere per reati come l’associazione mafiosa, non sempre riconosciuta dal diritto elvetico. Nel 2025, la Svizzera non è più un fortino inespugnabile, ma rimane un nodo cruciale per le mafie italiane, che sfruttano le sue crepe normative per riciclare denaro sporco

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