Il richiamo del sangue

Quindici donne trucidate dal 1978 al 2001. La mano è la stessa, quella di Maurizio Minghella, detto il “Travoltino della Val Polcevera”. Esecuzioni sadiche, passionali, accomunate dalla violenza sessuale più cieca. (prima parte)

Genova – Si dice che una volta che un lupo riesce ad insediarsi all’interno di un addiaccio divori le prime pecore per appetito. Una volta sazio l’eccitazione scatenatagli dall’odore, sapore e vista del sangue lo spingano a continuare ad uccidere ciecamente, fino a non lasciare nulla che respiri intorno a lui. È un istinto primitivo, che ogni mammifero ha incastonato nel proprio DNA, un istinto che noi essere umani attraverso l’evoluzione sociale abbiamo saputo seppellire nel posto più recondito della nostra psiche. Succede però, a volte, che in alcuni soggetti predisposti e sottoposti a determinati traumi quell’istinto riaffiori, esplodendo con tutta la brutale violenza che quel primitivo marcatore genetico porta con sé da millenni. L’intensificarsi del prorompente effetto predatorio alla vista del sangue sui soggetti umani è indissolubilmente legato anche a secoli di simbolismo costruito attorno ad esso. Il connubio delle cose è ciò che spingerà, per sua stessa ammissione, Maurizio Minghella a lasciare una scia di sangue lunga più di vent’anni e che impregnerà il suolo delle campagne liguri intorno a Genova. Un ventennio di incubi durante il quale verranno ammazzate senza pietà almeno quindici donne di età compresa tra i 14 e i 67 anni.

Il giovane Minghella nella foto segnaletica

Il “Travoltino della Val Polcevera”

Maurizio Minghella nasce il 16 luglio del 1958 a Genova. A causa di un’asfissia neonatale sviluppa un lieve ritardo mentale che lo porterà a camminare e comunicare tardivamente rispetto ai suoi coetanei. Minghella vive l’infanzia e l’adolescenza nel quartiere popolare di Bolzaneto dove, a soli 5 anni, il padre Giulio lo abbandonerà alla madre e alle violenze fisiche del nuovo compagno di vita della donna. La sua giovinezza viene profondamente segnata dalla morte del fratello Carlo a causa di un incidente motociclistico. La vista del fratello sul gelido tavolo dell’obitorio lo porterà a sviluppare strane emozioni al limite della morbosità nei confronti dei cadaveri. Tale esperienza, secondo diverse valutazioni psichiatriche effettuate sull’uomo, è il primo tassello dell’inquietante mosaico che andrà a comporre la sua personalità criminale.

Il piccolo Maurizio ripete la seconda elementare per nove volte, per poi mollare definitivamente qualsiasi percorso scolastico. Il futuro malfattore presenta diverse volte domanda per arruolarsi nell’esercito ma verrà sempre scartato a causa dei suoi precoci disturbi psichici. Appena più che adolescente comincia la sua carriera criminale con piccoli furti per pagare la palestra di pugilato e le notti brave in discoteca. Grazie alla discreta destrezza con cui si cimenta nella danza e la fama da playboy da strapazzo, verrà soprannominato il “Travoltino della Valle Polcevera”, in onore di John Travolta e della sua “Sarurday night fever”.

Maurizio Minghella durante uno dei processi

Nel 1977, all’età di 19 anni, sposa la minorenne Rosa Manfredi, già dipendente da psicofarmaci, la quale rimarrà poco dopo incinta. Per una overdose di pillole la donna patirà aborto spontaneo, come lo stesso Minghella affermerà in seguito: quella: “[…]fontana che grondava di sangue, nella quale provavo a immergere le mani per fermarla[…]” sarà decisiva per lo sviluppo di un “odi et amo” nei confronti del ciclo mestruale femminile, periodo che verrà riscontrato in tutte le sue vittime al momento della morte.

Il primo richiamo

Non passa molto tempo dal drammatico aborto della giovane moglie, rivelatosi in seguito la vera e propria chiave di volta nella saldatura strutturale della personalità omicidiaria di Minghella, all’arrivo del primo richiamo del sangue. Genova nel 1978 si tinge si rosso. Il 18 aprile il killer trucida la prostituta Anna Pagano, 20 anni, sfondandole il cranio con una pietra, per poi cimentarsi in seguito in un goffo tentativo di depistaggio. Sulla schiena della donna infatti vengono rinvenute le sgrammaticate parole: “Aldo Moro Brigate Rose”. La penna biro utilizzata per vergare quelle parole verrà rinvenuta all’interno della cavità anale della vittima.

Con lo stesso modus operandi l’8 luglio uccide Giuseppina Jerardi, 23 anni, nascondendone poi le spoglie all’interno di un’auto rubata e in seguito abbandonata. Il 18 luglio è la volta della quattordicenne Alba Maria Catena, strangolata. Il suo corpo, privo degli indumenti intimi e con il reggiseno tirato sopra il petto, viene rinvenuto impiccato ad un tronco d’albero, per mezzo di una sottile fune di canapa. Sparsi sul suolo, a breve distanza dalla vittima, il resto degli indumenti e un assorbente igienico macchiato di sangue. All’interno della vagina veniva rinvenuto dello sperma e il primo ad essere sospettato dell’omicidio era stato l’ex fidanzato Gianni Lamparelli.

Il goffo tentativo di depistaggio

La vittima seguente sarà Maria Strambelli, commessa di 21 anni, uccisa la notte del 22 agosto. Il suo corpo verrà rinvenuto pochi giorni più tardi, su di esso segni di strangolamento e violenza sessuale. Tanto vale per Wanda Scerra, violentata prima di essere barbaramente uccisa come tutte le precedenti vittime, picchiata e soffocata con la cintura del suo stesso impermeabile. Il cadavere verrà gettato in una scarpata a seguito di una interminabile agonia il 28 novembre. I sospetti su Minghella emergono grazie ad un testimone che afferma di averlo visto in compagnia di una delle vittime. L’assassino, interrogato il giorno stesso, confessa solamente due dei cinque delitti, ma la perizia calligrafica disposta sulla scritta “Brigate Rose”, incisa sul corpo di Anna Pagano, e la morbosa parafilia nei confronti del sangue mestruale, lo inchioderanno per l’omicidio di tutte e cinque le donne. Minghella in seguito ritratterà la sua confessione dichiarandosi innocente, ciò non basterà ad evitargli la pena dell’ergastolo nel 1981, a soli 23 anni. (continua)

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