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Il problema dei flussi migratori e un dialogo politico difficile

Il naufragio di Cutro ha riproposto l’annosa questione dell’accoglienza dei migranti sul territorio italiano. Il Governo Meloni punta ad una gestione unitaria dei flussi ma non è detto che riuscirà.

Roma – La premier, insieme ai ministri Tajani e Fitto, tesse una tela difficile per vedersi accolte le richieste italiane sulla questione dei migranti. Il colloquio telefonico tra la premier e il Cancelliere tedesco Scholz è servito per mettere sul tavolo i dossier. La spinta del presidente del Consiglio è quella di arrivare a una gestione unitaria dei flussi migratori, per far sì che le istituzioni comunitarie diano seguito agli accordi presi nell’ultima riunione. Insomma, il refrain del Governo è di “passare ai fatti”, con fondi sul cosiddetto modello Turchia, per un sostegno diretto sulla sponda del Mediterraneo, un controllo più efficace delle frontiere, lotta ai trafficanti di esseri umani e una linea definita sui rimpatri.

Intanto anche la presidente della Commissione Ue, von der Leyen, ha scritto una nuova lettera ai Paesi dell’Unione europea ricordando la “serie ambiziosa di misure operative sulla migrazione e sulla gestione delle frontiere, ribadendo, peraltro, l’urgenza di agire dopo la terribile perdita di vite umane nel naufragio al largo delle coste calabresi alla fine di febbraio”. Von der Leyen chiede, in sostanza, che si continui a collaborare sulla gestione della migrazione e dei rimpatri in modo concreto. Invito che ci si augura venga realmente condiviso da tutti i Paesi dell’UE. In ogni caso, la premier parlando alla Camera ha ribadito che sostenere che l’Italia non ha voluto salvare i migranti è una falsità. “Anzi – ha aggiunto – è una calunnia nei confronti non del Governo, ma dello Stato italiano e dell’intero sistema”.

Ursula Von der Leyen.

Passando ad una valutazione generale della politica interna, bisogna dare atto a Giorgia Meloni e a Maurizio Landini di aver fatto entrambi un piccolo passo nella direzione giusta, quella del dialogo e del rispetto dei ruoli e delle idee. Se poi si tratti di un’eccezione alle regole seguite fin qui o l’inizio di una regola nuova, si vedrà. Un po’ di scetticismo non guasta, soprattutto per le pratiche seguite, un po’ da tutti, in questi anni. È ovvio che parlare agli avversari comporta sempre il rischio di scontentare una parte della propria metà campo. Ma è proprio in quel parlarsi al di là dello steccato che si arricchisce una democrazia, riuscendo a farla diventare più interessante e movimentata, cioè meno rigida di come è stata praticata o forse deformata da una infinità di preconcetti e ostilità, utilizzati un po’ da ogni soggetto politico in questi anni.

Il fatto è che ogni partito, ogni schieramento parla solo ai propri cari e non sempre riuscendovi. Nessuno, o quasi, sembra più capace di catturare almeno l’attenzione di chi milita altrove. Le posizioni si irrigidiscono in una narrazione che diventa progressivamente sempre più unilaterale. Con l’effetto, tra l’altro, di indurre una quota sempre maggiore di votanti a disertare le urne, come s’è ultimamente appena visto. Proprio l’avvento di una cultura politica populista, inaugurata prima da Forza Italia, poi dalla Lega e, ultimamente, dal M5s e in quest’ultimo periodo anche dal Pd, ha deteriorato i rapporti con i cittadini che si sono visti strumentalizzati in quanto utilizzati solo per accrescere il consenso di qualche partito che prometteva una rivoluzione culturale.

La solita bagarre in Parlamento

I risultati sono sotto gli occhi di tutti. Infatti, la scelta del nemico e la semina di un sentimento di sfiducia ad ampio spettro hanno favorito la denuncia degli errori altrui piuttosto che l’assunzione delle più scomode e proprie responsabilità, favorendo un pericoloso segno di sfiducia verso le istituzioni. Così, ognuno ha finito per parlare alla pancia del proprio elettorato o di quello che si spera di conquistare e non c’è modo più sicuro di riuscire nell’impresa che quello di schierarsi dalla parte di chi non è contento di come vanno le cose. Una china scivolosa, lungo la quale chi amministra il potere prende la scorciatoia indicando nei suoi avversari e nel loro passato le maggiori responsabilità di tutto quello che non funziona. Tecnica che hanno adoperato un po’ tutti, a dire il vero. Ma che finisce però per confondere le cose a vantaggio di nessuno. O quasi.

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