Adesso sarà la magistratura a fare luce su fatti assai gravi che hanno coinvolto un sottufficiale dell’Arma e un consigliere comunale che speravano di “fare 13” vendendo documenti riservati. Nei guai Fabrizio Corona, indagato per ricettazione.
PALERMO – Si parla ancora del boss Matteo Messina Denaro ma non per novità in campo investigativo, piuttosto in termini di “scoop pazzesco” che hanno rimesso nei guai giudiziari l’agente fotografico Fabrizio Corona. In concreto dopo l’arresto di Denaro anche Corona, come altri fotoreporter, non sarebbe rimasto con le mani in mano ma avrebbe cercato, un po’ dappertutto, video, foto e documenti inediti che riguardassero la vita del mafioso da rivendere a giornali e agenzie di stampa.
Nel frattempo, però, il Gip di Palermo, Alfredo Montalto, ha disposto gli arresti domiciliari per il maresciallo dei carabinieri Luigi Pirollo e per il consigliere comunale di Mazara del Vallo, Giorgio Randazzo, accusati dal Procuratore aggiunto Paolo Guido e dal sostituto Pierangelo Padova, rispettivamente, di accesso abusivo al sistema informatico e violazione del segreto d’ufficio, e di ricettazione per aver tentato di vendere all’ex re dei paparazzi file riservati sulla cattura di Diabolik. Per i tre protagonisti della vicenda si parla di movente economico ma non si esclude quello “complottistico”, in vero difficile da ipotizzare considerando le persone coinvolte ma non da escludere a priori.
Per il resto il fatto contestato sarebbe ormai chiaro nella ricostruzione degli inquirenti. Il consigliere Giorgio Randazzo avrebbe posto in essere il tentativo di vendere a Fabrizio Corona, e poi su indicazione dello stesso fotografo, a Moreno Pisto, (non indagato), giornalista e direttore responsabile del magazine on line MOW, ben 768 file suddivisi in 14 cartelle relativi alle indagini dei carabinieri conseguenti all’arresto di Matteo Messina Denaro effettuato lo scorso 16 gennaio. La tentata vendita del materiale emergerebbe dalle intercettazioni eseguite sui telefoni in uso a Corona descritto dagli investigatori come “particolarmente attivo”, dopo l’arresto del boss, “nella ricerca di scoop, da rivendere ai media, su una delle donne che aveva avuto modo di conoscere il latitante durante le cure cui entrambi si erano sottoposti presso la Clinica La Maddalena“.
Nella intercettazione del 2 maggio Corona farebbe riferimento ad uno “scoop pazzesco” di cui era in possesso un “consigliere regionale di Castelvetrano” riferendosi però a Randazzo, consigliere comunale a Mazara del Vallo. Il materiale per lo scoop sarebbe stato fornito da non meglio identificati carabinieri che avrebbero proceduto alla perquisizione dei covi del latitante recuperando materiale che avrebbero voluto “vendere”. Ma che cosa contenevano quei file da essere cosi appetibili? La pendrive nel possesso del consigliere Randazzo conteneva una cartella denominata “No Name” con numerosi file all’interno e altre dieci sottocartelle. Gli inquirenti avrebbero accertato che quel materiale informatico era custodito nel server della Compagnia carabinieri di Mazara del Vallo.
In questa sede i file sarebbero stati copiati da un militare infedele che per l’accusa sarebbe uno degli odierni indagati. Poi c’erano i file che riguardavano documenti sequestrati il 25 gennaio presso il covo di Campobello di Mazara e un file pdf denominato “agenda” contenente la rubrica dei contatti di Andrea Bonafede, coperta da segreto, oltre ai verbali delle sommarie informazioni testimoniali assunte dai residenti nelle immediate vicinanze del covo di vicolo San Vito di Campobello di Mazara e altri atti di polizia giudiziaria, non ancora utilizzati in alcun procedimento. Insomma un bel bottino forse solo in apparenza:
”Di clamoroso nelle carte non c’era nulla – racconta Moreno Pisto – a quel punto ho capito che se avessi pubblicato file coperti da segreto avrei pure rischiato la galera”. Pisto dunque avrebbe deciso, d’accordo con Corona, di rivelare ogni particolare della vicenda agli inquirenti una volta resosi conto dell’impossibilità di pubblicare anche una virgola senza passare i guai. Di contro Corona è sotto inchiesta per ricettazione: ”Quel che so è che fin dal primo minuto ha capito che non potevamo comprare quella roba – conclude Pisto – Non facciamo cavolate, ci siamo detti. E non ne abbiamo fatte”. Il paparazzo più famoso per le sue scorribande non ci sta: ”Mi sono comportato come un cittadino onesto – commenta il fotografo tramite l’avvocato Ivano Chiesa – ma siccome mi chiamo Fabrizio Corona si sospetta che abbia fatto qualcosa di losco”.