L’appello della madre novantanovenne alla premier Meloni: “Vorrei una tomba su cui piangere mia figlia”.
Roma – Una tomba per piangere sua figlia. È tutto quello che chiede Renata Capotorti, 99 anni, madre di Graziella De Palo, la giornalista scomparsa a Beirut nel 1980 insieme al collega, Italo Toni, 50 anni. Un caso che ha attraversato quattro decenni di misteri, segreti di Stato e depistaggi.
Una scomparsa che attraversa quattro decenni
Il 2 settembre 1980, nel settore siro-palestinese di Beirut, svaniscono nel nulla due giovani giornalisti italiani: Graziella De Palo, 24 anni, e il suo collega Italo Toni. La loro sparizione diventerà uno dei più intricati casi di cronaca italiana, un labirinto di segreti di Stato, depistaggi e silenzi che ancora oggi, a oltre quattro decenni di distanza, non ha trovato una soluzione definitiva.
Il caso De Palo-Toni si inserisce nel contesto drammatico del 1980, l’annus horribilis italiano segnato dalla strage di Ustica (27 giugno) e dall’attentato alla stazione di Bologna (2 agosto). Un periodo in cui i confini tra servizi segreti, terrorismo internazionale e ragioni di Stato divennero particolarmente labili.
Il profilo di una giornalista coraggiosa
Nata a Roma il 17 giugno 1956, Graziella De Palo era figlia del capitano Vincenzo De Palo, cofondatore del gabinetto scientifico investigativo dell’Arma dei carabinieri. Cresciuta in una famiglia dove il senso dello Stato e della giustizia erano valori fondamentali, si avvicina al giornalismo fin da giovanissima, guidata dal fratello maggiore Giancarlo.
A vent’anni inizia a lavorare all’agenzia di stampa “Notizie radicali”, collaborando con testate come ABC, Quotidiano donna e L’Astrolabio. È qui che conosce Italo Toni, giornalista professionista, al quale si lega sentimentalmente e professionalmente. Nel 1980, Giuseppe Fiori, direttore di Paese Sera, la chiama nel suo quotidiano, impressionato dalle sue inchieste sui servizi segreti e sui traffici d’armi tra Italia e Medio Oriente.
Graziella si era specializzata in un settore particolarmente delicato: le interconnessioni tra intelligence italiana e commercio di armamenti. I suoi articoli toccavano nervi scoperti del sistema, in particolare quello pubblicato il 21 marzo 1980 e intitolato “False vendite, spie, società fantasma: così diamo armi”.
Il viaggio in Libano e la scomparsa
Il 22 agosto 1980, Graziella e Italo partono per Damasco. Il viaggio è organizzato e finanziato da Nemer Hammad, rappresentante dell’OLP a Roma. Destinazione: il Libano e i campi profughi palestinesi. I due giornalisti attraversano la frontiera tra Siria e Libano il 23 agosto, arrivando a Beirut Ovest, zona sotto mandato siriano, dove Al Fatah offre loro ospitalità presso l’hotel Triumph.
Il 1° settembre, evidentemente preoccupati per la loro sicurezza, si recano all’ambasciata italiana comunicando al primo consigliere Guido Tonini la loro intenzione di visitare il Sud del Libano, in particolare il Castello di Beaufort. Chiedono di essere cercati se entro tre giorni non faranno ritorno, ricevendo ampie rassicurazioni.
La mattina del 2 settembre avrebbero dovuto partire su una jeep del Fronte Democratico per la Liberazione della Palestina di Nayef Hawatmeh, che Graziella aveva intervistato nei giorni precedenti. Da quel momento, dei due giornalisti si perde ogni traccia.

L’inizio del depistaggio
Le ambasciate italiane si attivano solo alla fine di settembre, sollecitate dalle telefonate disperate della famiglia. Inizia così un incredibile intreccio di contraddizioni, silenzi e false piste che trasformerà il caso in un vero e proprio “mistero di Stato”.
Francesco Malfatti di Montetretto, segretario generale del Ministero degli Affari Esteri e in seguito scoperto affiliato alla P2, affida le indagini al colonnello Stefano Giovannone, capo-centro del SISMI a Beirut, anziché all’ambasciatore Stefano D’Andrea. Una scelta che si rivelerà determinante per l’evolversi della vicenda.
Il 18 ottobre 1980, D’Andrea invia un telex segreto a Malfatti comunicandogli che il rapimento è opera di Al Fatah e di essere a conoscenza perfino dei nomi degli assassini dei due giornalisti scomparsi. Questo documento cruciale viene nascosto persino al Presidente della Repubblica Sandro Pertini, che aveva preso molto a cuore la vicenda.

La “falsa Graziella” e gli altri depistaggi
Giovannone, per scagionare l’OLP, mette in atto un sofisticato depistaggio: fa credere che il rapimento dei giornalisti sia avvenuto a Beirut Est, zona controllata dai falangisti cristiano-maroniti.
Così prende forma il depistaggio della cosiddetta “falsa Graziella”, messo in atto sfruttando il viaggio a Beirut Est della massona romana Edera Corrà. Quest’ultima si sarebbe registrata all’hotel Montemar, dove soggiornava insieme a due connazionali, utilizzando il nome di Graziella De Palo. Fingendosi la giornalista, avrebbe telefonato al capo delle milizie falangiste, Bechir Gemayel, chiedendogli un’intervista che le venne cortesemente concessa. Poco dopo, però, alla Corrà arrivò la notizia del presunto ritrovamento dei corpi dei due giornalisti italiani all’ospedale americano di Beirut Ovest. Il funzionario D’Andrea le negò la possibilità di assistere al riconoscimento delle salme, provocando la sua accusa – ripresa mesi dopo anche dal colonnello Giovannone – di aver contribuito all’occultamento dei corpi.
Le false speranze e le promesse mancate
Per anni, la famiglia De Palo viene illusa con false speranze. Il 18 aprile 1981, durante un incontro a Damasco, Yasser Arafat conferma che Graziella è viva e promette la sua liberazione. Anche Abu Ayad, capo dei servizi segreti dell’OLP, nel 1983 dichiara che la giornalista è ancora viva e in mano ai falangisti.
Tutti questi incontri, puntualmente documentati dal fratello Giancarlo con un microregistratore, non porteranno mai a risultati concreti.
Le connessioni con i grandi misteri italiani
La scomparsa di Graziella e Italo è un fil rouge con altri eventi cruciali della storia del nostro Paese. Il sequestro dei missili a Ortona del 7-8 novembre 1979, che portò all’arresto di Abu Anzeh Saleh del FPLP, aveva scatenato minacce di ritorsione proprio mentre iniziava il processo contro George Habash nell’agosto 1980.
Più inquietante ancora è il possibile collegamento con la strage di Bologna del 2 agosto 1980, avvenuta un mese esatto prima della scomparsa. Secondo il fratello Giancarlo, i due giornalisti stavano seguendo la “pista libanese”, un depistaggio orchestrato per scaricare le responsabilità della strage sui falangisti cristiano-maroniti.
Il documento Wikileaks e la verità sepolta
Nel 2020 emerge su Wikileaks un documento desecretato che, secondo la deposizione dell’agente segreto Elio Ciolini, rivela una versione agghiacciante dei fatti. Il 2 settembre 1980, nella sede dell’OLP a Beirut, si sarebbe tenuta una riunione segreta tra esponenti italiani della “Loggia Riservata”, rappresentanti della “Trilaterale Italiana”, Stefano Delle Chiaie per “Ordine Nuovo” e un finanziere internazionale.
Durante questa riunione, Graziella avrebbe riconosciuto gli italiani presenti, firmando la sua condanna a morte e quella di Italo. Nonostante le sue richieste di aiuto, nessuno degli italiani presenti sarebbe intervenuto, avendo compreso che “la sorte dei due giornalisti fosse ormai segnata”.
Il segreto di Stato e la lunga battaglia per la verità
Nel 1984, il presidente del Consiglio Bettino Craxi appone il segreto di Stato sulla vicenda. I nomi di Graziella e Italo vengono addirittura rimossi dagli elenchi ufficiali internazionali che commemorano i giornalisti caduti nell’esercizio della professione.

La battaglia della famiglia De Palo per ottenere la verità durerà decenni. Solo nel 2014, grazie soprattutto all’intervento di Francesco Rutelli e del COPASIR, il segreto di Stato viene parzialmente rimosso su circa 1240 documenti. Sarà però mantenuta la segretezza sui rapporti tra Italia e organizzazioni palestinesi (il cosiddetto “lodo Moro”).
Un caso ancora aperto
Nel dicembre 2019, la procura di Roma riapre l’inchiesta. Le indagini del giudice Armati negli anni ’80 avevano accertato che i due giornalisti furono prelevati dall’hotel Triumph dai miliziani di Habash, interrogati e uccisi. Armati aveva chiesto il rinvio a giudizio del colonnello Giovannone e del generale Santovito per favoreggiamento. Entrambi furono indagati – Giovannone venne anche arrestato – ma morirono prima che si arrivasse a una verità processuale.

L’appello da madre a madre
Oggi, alla soglia dei cento anni, Renata Capotorti, madre di Graziella De Palo, ha scritto una lettera accorata alla premier Giorgia Meloni. Non chiede più giustizia – sa che il tempo le è nemico – ma solo di poter “versare davanti alla tomba di sua figlia le poche lacrime che ancora conserva”.
“Ho inutilmente lottato per oltre 40 anni, sola con i miei familiari, per avere giustizia”, scrive la donna nella sua missiva. “I nostri appelli per conoscere la verità non hanno mai avuto risposta, ci siamo sentiti abbandonati dallo Stato. Questo aggiunge dolore al dolore”.
La sua richiesta è tanto semplice quanto drammatica: che lo Stato italiano faccia tutto il possibile per individuare il luogo dove si trovano i resti di Graziella e Italo, permettendo finalmente ai loro cari di portare un fiore sulla loro tomba.