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Il lavoro povero non sparisce eliminando il salario minimo

Il Rapporto Svimez 2023 segnala che nel Mezzogiorno è aumentata la percentuale di chi pur avendo un lavoro permane sotto la soglia di povertà.

Il salario minimo così come l’avevano proposto le opposizioni non esiste più, la Camera ha approvato la delega al governo che stoppa le legge proposta dal centrosinistra. Ma seppur con diversa formulazione, perfino con un altro nome, si dovrà tornare a parlarne, perché anche qui da noi quelli che nel mondo anglosassone si chiamano working poor (lavoratori poveri) non fanno più parte di una minima percentuale di occupate e occupati. Il fenomeno è in aumento e soprattutto fra i soliti noti: donne giovani e meridionali.

Il Rapporto Svimez 2023 sull’economia e la società del Mezzogiorno ci dice anche questo, che il paradosso è tra noi, che la povertà dilaga sempre di più anche tra chi un lavoro ce l’ha. Nonostante la crescita dell’occupazione, infatti, nel 2022 la povertà assoluta è aumentata in tutto il Paese, raggiungendo livelli inediti. L’allarme suona soprattutto per il Sud, dove le persone che vivono in famiglie in povertà assoluta hanno raggiunto i 2,5 milioni, con una crescita di 250mila unità rispetto al 2020, mentre nello stesso biennio al Centro-Nord la somma è calata di 170mila unità.

Il dato sugli occupati non basta più, bisogna valutare la retribuzione

La crescita della povertà tra gli occupati conferma che il lavoro, se precario e mal retribuito, non garantisce la fuoriuscita dal disagio sociale. Nel Mezzogiorno, la povertà assoluta tra le famiglie con persona di riferimento occupata è salita di 1,7 punti percentuali tra il 2020 e il 2022 (dal 7,6 al 9,3%). Un incremento si osserva tra le famiglie di operai e assimilati: +3,3 punti percentuali. Questi incrementi sono addirittura superiori a quello osservato per il totale delle famiglie in condizioni di povertà assoluta.

Il dato interessa il Mezzogiorno ma non solo e obbliga ad una lettura più approfondita e inedita dei dati Istat sull’occupazione nel Paese. Non può bastare, come in passato, un’analisi quantitativa del fenomeno, occorre affiancare ai dati e nudi crudi sull’occupazione, sia essa a termine o a tempo indeterminato, una valutazione qualitativa degli stessi, perché un lavoro che non garantisce la fuoriuscita dalla soglia di povertà non dovrebbe rientrare nello stesso computo di un’occupazione economicamente soddisfacente.

Per combattere la piaga del lavoro povero, quindi, la questione del salario minimo dovrà in un modo o nell’altro essere affrontata, insieme al rafforzamento della contrattazione collettiva e allo stop alla moltiplicazione delle forme contrattuali non standard e alla proliferazione del part time.

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