Provate a immaginare il mondo della ristorazione come un palcoscenico teatrale. I camerieri, gli attori in questo parallelismo, si esibiscono indossando una maschera, ostentando un sorriso obbligato che nasconde le innumerevoli contraddizioni che tale settore cela.
Provate a immaginare il mondo della ristorazione come un palcoscenico teatrale. I camerieri, gli attori in questo parallelismo, si esibiscono indossando una maschera, ostentando un sorriso obbligato che nasconde le innumerevoli contraddizioni che tale settore cela. Nella zona oscura, dietro le quinte di questo “teatro”, gli attori possono finalmente abbandonare questa forzata espressione lavorativa e spogliarsi del costume che indossano – solitamente una camicia bianca o nera -, e infine, mostrare il volto sfinito dai lunghi turni di lavoro, dalle poche certezze e dalla perenne flessibilità.
La concezione del lavoretto che da ormai troppo tempo è spesso sinonimo di cameriere, ha portato ad una progressiva erosione dei diritti lavorativi di questa categoria e a un appiattimento delle differenze tra i professionisti e principianti, ciò unicamente a favore della de-professionalizzazione del mestiere.
A. P. è una ragazza di 24 anni di Milano, nonostante la sua giovane età vanta una lunga carriera nel settore della ristorazione, e ha visto e subito diverse situazioni di depauperamento sia a livello personale che lavorativo. A. P. lavora da quando aveva circa 18 anni, durante tutto questo tempo ha variegato e diversificato il suo ruolo in questo settore, passando dai ristoranti ai catering, fino ai pub. La giovane – solo anagraficamente – cameriera racconta che: “Quando ho iniziato a lavorare nei catering ero poco più che bambina, continuo a farlo anche ora, ma sporadicamente, principalmente come extra.” La flessibilità, che spesso viene fatta passare come oggettivo miglioramento delle condizioni lavorative, in realtà si manifesta foriera di inganni ed estremamente soggettiva. Tra le criticità di questa nuova pratica c’è senza dubbio l’instabilità delle condizioni contrattuali e l’opinabilità delle stesse.
Ho lavorato per varie agenzie – racconta la giovane milanese – almeno cinque. Il problema delle agenzie, però, è che non si conoscono mai le condizioni specifiche. Ho avuto vari colleghi che si sono ritrovati a lavorare con una paga di 6 euro l’ora per circa 15-16 ore di fila. In alcuni casi non abbiamo avuto neanche la possibilità di mangiare, in altri abbiamo mangiato gli avanzi della cena degli ospiti. Trovo abbastanza ironico il fatto che nonostante il nostro sia un lavoro incentrato sul cibo in determinati contesti per noi non è assicurato neanche un pasto. Questo piccolo aneddoto è abbastanza emblematico per capire il ruolo che ricopriamo nella scala dei valori dell’azienda
A. P. continua spiegando come le mansioni di un cameriere di catering in realtà non sono circoscritte alle mere attività di sala, il servizio completo comprende una serie compiti che poco hanno a che vedere con quello che dovrebbero essere le funzioni stesse di un cameriere:
“Spesso il turno inizia con l’attività dello scarico. Solitamente ci troviamo nella location dove avrà luogo l’evento e aspettiamo il furgone che trasporta l’attrezzatura per la giornata. Scarichiamo di tutto: cucine portatili, forni; ma anche sedie; tavoli; tovaglie; stoviglie; bottiglie di vino e di spumante. Poi inizia la fase del montaggio. Si assemblano i tavoli per ospitare l’open bar, il welcome, e il buffet, si predispongono le sedie all’interno della sala, si spostano vasi e ombrelloni; il tutto a seconda dei voleri dell’organizzatore. In questa fase del lavoro spesso capita di sentirsi più un facchino che un cameriere. Solitamente in questi frangenti sono i ragazzi ad essere i più colpiti in quanto sono costretti a trasportare i materiali più pesanti. Questo non vuol certo dire che le ragazze siano privilegiate, anzi, anche noi diamo il nostro importante apporto allo scarico merci. I matrimoni sono gli eventi più faticosi, spesso capita di iniziare con i lavori d’organizzazione la mattina alle 8 e di continuare ininterrottamente fino all’arrivo degli ospiti. Quando si è in ritardo sulla tabella di marcia può succedere che si salti il pranzo, e che la prima pausa si possa ottenere intorno a mezzanotte, circa 15 ore dopo l’inizio del servizio. Sono ritmi estremamente duri, mi è capitato più di una volta vedere gente svenire per stanchezza o per un calo di zuccheri.”
Orari prolungati al limite dell’umano e tutele pressoché inesistenti sono i risultati dell’incertezza e della flessibilità di questo settore. “Quello del catering è un lavoro che durante l’anno varia molto, ondeggiando tra periodi di massimo sforzo e periodi di estrema tranquillità. Chi ha famiglia o spese fisse come mutui o affitti è costretto a dover compensare nei periodi di maggiore concentrazione lavorativa i mesi di poco guadagno. Durante la stagione estiva, primaverile e natalizia i camerieri fissi lavorano a ritmi disumani. Molto spesso capita che dopo turni da 13-14 ore il personale riposi solamente per poco tempo prima di ricominciare a lavorare. Inoltre, non di rado si maneggiano oggetti contundenti, e questo rende tutto più pericoloso.”
A. P. è una ragazza che nonostante la forte fase di crisi lavorativa e d’erosione di certezze sul futuro ha deciso di non rinunciare ai suoi obiettivi di vita e da poco ha intrapreso un percorso di convivenza con il fidanzato. “Uno dei problemi maggiori del mondo della ristorazione è la mancanza di tutele. La flessibilità lavorativa porta a dover accettare sempre un servizio, anche se avvisati con pochissimo preavviso. Il rischio più grande, altrimenti, è quello di essere depennati dalla lista dei lavoratori dell’agenzia e dover cercare nuovi impieghi. Non è rara, oltretutto, la pratica del pagamento a nero. Sfortunatamente tra le spese e l’affitto non si ha la forza per poter dire di no, si è costretti ad accettare praticamente tutto se non si vuole esser tagliati fuori.”
Il mondo della ristorazione sembrerebbe funzionare come un vero e proprio teatro, dove il pubblico – i clienti – vedono unicamente la parte finale dell’intero lavoro. Tendono, però, a non vedere le dietrologie della messa in scena: dalle estenuanti ore lavorative, alla mancanza del riconoscimento di straordinari, fino alla latitanza di un vero e proprio contratto. Anche l’esistenza stessa di una contratto, però, non basta a garantire la totale regolarità del trattamento lavorativo.
“Per poter giustificare le eccessive ore di lavoro le agenzie di catering inseriscono nelle buste paghe dei dipendenti fantomatici rimborsi per benzina o per i km di distanza del luogo di domicilio, premi mensili o maggiorazioni festive, e la cosa peggiore è che tutti sanno, ma nessuno si lamenta. Basterebbe assumere più personale per distribuire meglio le ore lavorative e garantire uno svolgimento migliore dell’impiego, ma sfortunatamente non sarebbe abbastanza conveniente per la direzione dei catering, la quale preferisce risparmiare sulle forze lavorative impegnate per evitare ulteriori spese, ad esempio – quando è contemplato- l’apertura di nuovi contratti.”
L’impatto sociale di un simile impiego è fortissimo sulla psiche del lavoratore. Si diffonde sempre più nell’immaginario di questo mondo la tendenza all’individualismo. “Molo spesso accade che il cameriere si concepisca come una roccia solitaria in mezzo all’oceano. Il suo principale obiettivo è quello di apparire agli occhi del responsabile come un brillante impiegato che svolge il suo ruolo in maniera migliore rispetto agli altri, con il chiaro fine di far carriera all’interno dell’azienda. Ciò produce un inevitabile scontro tra gli stessi lavoratori e di conseguenza un’accettazione passiva delle infelici condizioni lavorative. Credo che al contrario sarebbe importante ripartire da qui, dalla necessita di unirsi per lottare contro la mancanza di tutele per i lavoratori di questo settore, e per dare un apporto alle fatiscenti lotte sindacali.”