Il “flop Sardegna” agita il centrodestra, Meloni teme l’effetto domino in Abruzzo

Voto disgiunto o candidato sbagliato, veleni fra gli alleati. Tajani tenta di capitalizzare al massimo la spaccatura FdI-Lega.

Roma – I timori di un effetto domino agitano il centrodestra dopo la sconfitta in Sardegna, con il livello di tensione destinato a salire ora dopo ora. Voto disgiunto o candidato sbagliato? Serpeggiano veleni e sospetti fra gli alleati della coalizione, che si troverà a fare i conti con analisi politiche più articolate per capire cosa è accaduto e evitare che accada ancora. Il braccio di ferro tra alleati, soprattutto tra Giorgia Meloni e Matteo Salvini, c’è stato su molte questioni, l’ultima sul no al terzo mandato per i governatori da parte di Fdi e Fi. Ma questa volta la spaccatura potrebbe essere irreversibile, ed è forse la prima vera crisi che si profila nel centrodestra da quando la coalizione è al governo.

Il premier teme l’effetto domino e il secondo banco di prova, forse più significativo della Sardegna, è quello del 10 marzo in Abruzzo, dove si vota il nuovo governatore. Nella roccaforte del presidente di Regione uscente di Fdi Marco Marsilio se dovesse verificarsi una seconda sconfitta sarebbe una caporetto. Qui sono due i candidati in corsa: Marsilio appunto, che si ricandida e Luciano D’Amico, sostenuto da “Il patto per l’Abruzzo”, un’ampia coalizione di centrosinistra che va dalla sinistra ai moderati di Azione e Italia Viva passando per il Pd e il Movimento 5 Stelle. Non è consentito il voto disgiunto: sarà considerata nulla, la scheda con il voto espresso per un candidato Presidente e per una lista diversa da quelle a lui collegate.

Luciano D’Amico e Marco Marsilio, sfidanti in Abruzzo

Voto disgiunto che invece in Sardegna viene considerata una delle principali cause della sconfitta del centrodestra. “Partita tutta da giocare”, secondo l’ultimo sondaggio Winpoll dello scorso 23 febbraio. Sono soltanto pochi decimali a dividere i 2 candidati. Anche se, il dato sulla fiducia fotografa un vantaggio di 12 punti percentuali in favore di D’Amico, che ha visto tra i partecipanti del tour elettorale la segretaria dem Elly Schlein. “Siamo garibaldini”, il motto con cui Marsilio ha lanciato la sua campagna. Inoltre, il governatore di Fratelli d’Italia a chi gli parla di effetto domino replica: “Sono due cose separate e distinte”. Eppure il timore che si replichi il copione sardo c’è, tanto che il partito punta a gestire l’ultima fase della campagna elettorale da Roma, allontanando il più possibile gli sgambetti anche degli alleati.

L’epilogo del flop già cominciava a prefigurarsi quando ieri, attorno alle 13 la premier, Salvini e Antonio Tajani si sono visti a Palazzo Chigi per un pranzo di lavoro. Un appuntamento concordato dopo il comizio di mercoledì a Cagliari, per far ripartire l’azione di governo con “maggiore armonia politica”. Tutto in un “clima molto positivo e disteso”, secondo fonti di Palazzo Chigi. Forza Italia ha preso atto con soddisfazione di aver praticamente doppiato la Lega in Sardegna (6,9% contro 3,7 secondo dati non definitivi), anche se fonti leghiste suggeriscono di sommare i voti della Lega a quelli del Partito sardo d’azione (oltre il 5%), nato come lista per sostenere Solinas.

Nella coalizione regnano sospetti e preoccupazione per le prossime prove elettorali. Il 10 marzo in Abruzzo (dove cerca il bis il meloniano Marco Marsilio e dove i tre leader sono attesi il 5), e il 21-22 aprile in Basilicata, dove FI conta sulla conferma di Vito Bardi (“Il candidato sarà lui, sono assolutamente convinto”, dice Tajani) ma la partita non è del tutto chiusa. Ma soprattutto le Europee di giugno, un potenziale spartiacque. Uno scenario su cui pesa il rischio di altre fibrillazioni nel centrodestra, a cominciare dal terzo mandato per i governatori, su cui la Lega insisterà nonostante il disaccordo degli alleati.

I tre leader di centrodestra

Durante il lungo spoglio di ieri il nervosismo monta sin dal mattino davanti ai dati in arrivo della Sardegna. Prima delle 10 il deputato cagliaritano di FdI Salvatore Deidda ragiona così: “Paghiamo che forse in cinque anni non abbiamo governato proprio brillantemente”. Sia dentro FdI che dentro FI è forte la convinzione che puntando su Solinas sarebbe andata peggio. Il dato più pesante, però, è a Cagliari, dove Truzzu è sindaco dal 2019 e che da settimane la Lega ha messo nel mirino. I leghisti su questo si mordono la lingua. Si sapeva che nella sua città non è amatissimo, ammette ora qualche meloniano, ma la sua campagna elettorale è stata brevissima. E anche dentro FI si allargano le braccia: non era il candidato ideale. Le alternative non abbondavano. Ma la scommessa persa costerà alla premier critiche, anche e soprattutto nelle analisi interne.

La forbice della sconfitta aiuterà a esaminare meglio le responsabilità. Nelle prime analisi nel partito di Meloni, però, già si fanno largo i sospetti sull’effetto del voto disgiunto di chi ha lasciato il segno sul simbolo della Lega ma non su Truzzu: stimano a spanne che avrebbe tolto 4 punti al sindaco di Cagliari, determinanti se il distacco da Todde dovesse confermarsi contenuto. Una fesseria, tagliano corto i leghisti. Se Salvini non avesse insistito su Solinas sarebbe andata diversamente, è un’altra osservazione di chi è convinto che la leader di Fdi cerchi sempre di dare compattezza alla coalizione mentre altri tendono a giocare in proprio.

Dentro Forza Italia si prova a ridurre il test a una dinamica locale, un incidente di percorso in cui pesa il “disastro” di Solinas: nessun effetto domino. E si evidenzia però la crisi della Lega. “Non esiste più, non solo in Sardegna”, nota un azzurro. Non è assurdo pensare che ora il partito di Tajani tenti di capitalizzare al massimo la spaccatura fra FdI e Lega. Intanto nelle prossime ore potrebbe incassare dal tavolo di coalizione sulle amministrative il via libera all’ex ministra Adriana Poli Bortone, 80 anni, come candidata del centrodestra per Lecce.

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