Il feticcio ecologista del retrofit perde colpi ancora prima di decollare

In Italia il decreto che permette di convertire le auto a motore termico in elettrico c’è dal 2015, ma solo nel 2022 è in vigore un regolamento. Le controindicazioni e la burocrazia farraginosa sono i nemici della svolta green. E negli Usa le Tesla muoiono di freddo.

Roma – Il feticcio ecologista della conversione delle automobili da motore termico in elettrico, il cosiddetto retrofit si sta consumando nelle tante controindicazioni del sistema e sta perdendo colpi ancora prima di decollare. Se l’obiettivo è quello dichiarato di aiutare il clima, la produzione di auto elettriche produrrebbe emissioni di CO₂. Colpa dell’estrazione delle risorse necessarie e la produzione della batteria che causerebbero deforestazione e innalzerebbero i livelli di anidride carbonica e ossido di azoto.

E questa è la contraddizione più evidente della tecnologia del retrofitting. Anche se il decreto retrofit è stato approvato nel lontano 2015, non è riuscito a far partire la filiera della conversione in Italia. Soltanto nell’ottobre 2022 è stato pubblicato il regolamento che disciplina sia procedura per ricevere l’approvazione all’omologazione, sia il metodo per installare i sistemi di riqualificazione elettrica sui veicoli con motore termico. Lo scorso luglio, il governo aveva approvato il bonus retrofit con la firma del decreto interministeriale tra MIMS e Mise. Il contributo, prevede fino al 60% dei costi dell’intera operazione di trasformazione, per un massimo di 3.500 euro.

Secondo la legislazione italiana, per poter fare retrofit le officine devono ricevere un certificato di accreditamento da parte del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti. Solo in questo caso, può presentare la richiesta di omologazione di un kit di conversione del motore. Dopo un’ispezione, il Ministero può decidere se rilasciare o meno il certificato di idoneità della produzione in serie dell’impianto.

Una volta che il kit è stato montato da un installatore affiliato, la motorizzazione fa il collaudo finale, verificando che sia stato ben installato e rilascia un timbro finale. Come per la conversione al Gpl, non è previsto un crash test. In un sistema che stenta a decollare e in fase di rodaggio, pare che le difficoltà maggiori si incontrino soprattutto per il rilascio dell’omologazione finale, necessaria per far circolare sulle strade pubbliche l’automobile convertita in elettrica.

E come se non bastasse, anche in questo settore fa i suoi sgambetti la tanto temuta e farraginosa burocrazia che colpisce il meccanismo di omologazione. Per omologare un kit privatamente bisogna fare mille carte e spendere tanti soldi. L’iter burocratico è lungo e tra l’altro non tutte le motorizzazioni sono disposte a farlo. E un’altra questione non meno impattante è ‘Ma quanto bisogna sborsare?’ Molto, sicuramente i costi di conversione sono troppo alti per essere competitivi su larga scala. Ad esempio, per convertire la 500 ci vogliono circa 10 mila euro.

A questo punto la domanda sorge spontanea. Invece del retrofitting, non è più conveniente acquistare un veicolo elettrico nuovo o usato? Gli esperti del settore, in un comparto ancora pieno di interrogativi e poco collaudato, dicono che i prezzi dei nuovi veicoli elettrici sono ancora alti e, per renderli appetibili, i concessionari normalmente li pubblicizzano escludendo dal costo le necessarie e costose batterie che poi vanno aggiunte, facendo lievitare ulteriormente il prezzo.

Il costo dell’intera operazione invece – giurano – con i kit retrofit è pari a meno di un terzo rispetto all’acquisto di un veicolo elettrico nuovo della stessa categoria, costo batterie compreso. Altro vantaggio dichiarato dagli addetti ai lavori, è che ad oggi i veicoli convertiti sono tutti guidabili dai neopatentati, al contrario dei limiti che si hanno con quelli elettrici nuovi, per problemi di normative e peso/potenza. Infine, nel caso del retrofit l’investimento iniziale si ammortizza rapidamente e il kit può essere riusato nel tempo, cosa non possibile con i nuovi mezzi elettrici.

Esiste una Piattaforma Retrofit che che consente di richiedere il contributo per l’installazione di sistemi di riqualificazione elettrica su veicoli immatricolati con motore termico. Il contributo era previsto dal decreto interministeriale del 19 luglio 2022 del Ministero delle infrastrutture e della mobilità sostenibili. Le risorse destinate alla misura ammontano a 12 milioni di euro in conto residui di stanziamento di provenienza 2021 e 2 milioni di euro in conto competenza 2022.

Potranno accedere agli incentivi i proprietari dei veicoli che hanno sostituito il motore termico con un motore elettrico dal 10 novembre 2021 al 31 dicembre 2022. I mezzi ammessi sono quelli appartenenti alle categorie M1, M1G, M2, M2G, M3, M3G, N1, N1G, per il trasporto di merci e persone. L’agevolazione consiste in un contributo pari al 60% del costo per la riqualificazione, fino a un massimo di 3.500 euro; nonché un ulteriore 60% delle spese relative all’imposta di bollo per l’iscrizione al pubblico registro automobilistico (PRA), all’imposta di bollo e all’imposta provinciale di trascrizione.

Il rimborso avviene tramite accredito sul conto corrente, le cui coordinate bancarie saranno fornite al momento della presentazione dell’istanza. Per l’assegnazione dei contributi e per la gestione della piattaforma informatica, il MIMS ha incaricato la società Consap S.p.a. Le agevolazioni sono assegnate secondo l’ordine temporale di ricezione delle richieste fino a esaurimento delle risorse disponibili. E allora se le risorse finiscono non si può fare? La risposta è no.

Insomma, le contraddizioni che minacciano il feticcio ecologista del retrofit non sono poche. In più – come sempre – ci si mette pure Bruxelles a complicare le cose. Dopo l’approvazione del Parlamento Europeo del divieto di vendita di motori termici per le case automobilistiche a partire dal 2035, il percorso verso un’elettrificazione dei trasporti sembra ormai tracciato. Ma allora che fine faranno tutti quei veicoli troppo inquinanti per circolare? Niente paura il retrofit è il salvatore – ipotetico – delle macchine destinate alla demolizione.

La soluzione appare a portata di mano, ma è una soluzione come sempre coercitiva. Il 2035 non è poi così lontano, e chi non avrà le somme necessarie per affrontare la sfida della transizione ecologica cosa farà? Ovvio che resterà a piedi. E infine, l’ultimo interrogativo che avvolge le coscienze è ‘Ma l’elettrico è davvero la strada da percorrere per salvare il Pianeta?’. C’è una storia non troppo confortante che spinge a risposte catastrofiche.

La sede del Parlamento europeo

Protagoniste le fascinose Tesla – la Model Y è stata la più venduta in Europa nel 2023 – che sono ‘morte di freddo’. Centinaia di auto elettriche sommerse dalla neve e irrimediabilmente ferme: è quanto sta accadendo negli Stati Uniti dove, quello che doveva essere una delle punte di diamante del mercato del futuro, comincia a mostrare tutti i suoi punti di fragilità. In America, infatti, nel periodo invernale, le temperature scendono facilmente sotto lo zero e possono arrivare, causa depressione artica, a sfiorare i -34 gradi.

Tutto questo ha creato il cimitero delle Tesla, ferme a decine in diverse città statunitensi, bloccate dal gelo. E anche le stazioni di ricarica non funzionano. La sfida dell’elettrico sembra sfuggire di mano ancora prima che faccia la sua scalata al successo, anche in Italia. E il percorso verso la svolta green non è privo di ostacoli. L’inganno del Grande Fratello tecnologico, dove l’illusione è essere liberi e felici, colpisce ancora.

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