Una vicenda di perversione, gelosia e ricchezza, che porterà Silvio Berlusconi a mettere le mani su uno dei simboli del suo impero: Villa San Martino.
Roma – Nell’elegante quartiere del Pincio, a due passi dai Parioli e dalla via Veneto della Dolce Vita, il 30 agosto 1970 si consumò una tragedia da cui emersero gelosie, passioni e ossessioni pericolose. Il marchese Camillo Casati Stampa di Soncino uccise la moglie Anna Fallarino e il giovane amante di lei, Massimo Minorenti, prima di togliersi la vita. Un delitto che svelò i segreti più torbidi dell’aristocrazia romana e che, attraverso i suoi strascichi giudiziari, aprì la strada all’acquisizione di Villa San Martino ad Arcore da parte di un giovane imprenditore milanese di nome Silvio Berlusconi.
Il marchese dalle ossessioni pericolose
Camillo Casati Stampa di Soncino, classe 1927, arrivava da una delle più antiche famiglie nobiliari di Milano. Sua madre, Luisa Casati Stampa, aveva ereditato cognome e averi dal suo primo marito. La ricchezza, però, non aveva portato felicità: il marchese crebbe in una famiglia anaffettiva, che gli regalò un’infanzia per nulla gioiosa.
Con l’età, Camillo si fece spazio tra i nobili lombardi. Tra feste mondane, salottini e battute di caccia, divenne noto per la sua intemperanza. Nel 1950 sposò la ballerina Letizia Izzo, dalla quale l’anno seguente ebbe la figlia Anna Maria.

Nel 1958, durante una festa a Cannes, arrivò l’incontro che cambiò per sempre il destino del marchese: Camillo perse la testa per Anna Fallarino, moglie dell’ingegnere Giuseppe Drommi. Decise che quella donna doveva diventare sua. A quella stessa festa c’era un altro pretendente della Fallarino, Porfirio Rubirosa, noto playboy dominicano. Quando Rubirosa tentò un approccio piuttosto audace poggiando la mano sulla spalla nuda della donna, scoppiò una rissa con il marito. Fu allora che entrò in scena il marchese: fingendo di aiutare l’ingegnere, colse l’occasione per farsi notare da Anna.
Anna Fallarino: dalla provincia al jet set
Anna Fallarino, classe 1929, arrivava da una famiglia della piccola borghesia di Benevento. Il padre era un impiegato, la madre una casalinga. Quando lei aveva appena tre anni, la mamma andò via di casa per fuggire con il suo amante. Il padre decise quindi di affidarla a sua sorella, che però non gradiva affatto quella responsabilità e distrusse l’infanzia della piccola Anna, facendola sentire sempre come un peso non gradito.
A 16 anni, Anna si trasferì a Roma a casa di uno zio. Lì conobbe Remo, garzone di un macellaio, con cui presto si fidanzò. Ad Anna, però, quella vita stava troppo stretta e quindi cercò di sfruttare la sua bellezza per fare carriera nel mondo dello spettacolo, mentre la storia con Remo si arenava.
Nel 1950 Anna ottenne una piccola parte in un film di Totò, “Tototarzan”. Fu l’occasione giusta per farsi strada nel jet set capitolino. Conobbe l’ingegnere Drommi, rampollo di una famiglia alto borghese, con cui convolò a nozze qualche mese dopo. Poi arrivò la serata a Cannes e l’incontro con il marchese Camillo, da cui Anna Fallarino restò particolarmente colpita. I due diventarono amanti. Poco dopo ruppero i rispettivi matrimoni e l’anno successivo si sposarono.
I gusti perversi del marchese
Sin dalla prima notte di nozze, la neo sposa scoprì i gusti particolari del marito. Una volta in hotel, il marchese ordinò una bottiglia di champagne. Quando arrivò il cameriere, lo costrinse a restare ai piedi del letto e ad assistere a un rapporto tra lui e la moglie. Dopodiché lo mandò via.

Anna scoprì ben presto che quello era solo l’inizio. Camillo Casati aveva il triolismo: una parafilia che lo portava ad avere interesse sessuale guardando la sua donna mentre aveva rapporti con altri uomini. Quel modus operandi divenne la routine della coppia: il marchese pagava uno o più uomini per andare a letto con la moglie e poi si godeva lo spettacolo. Dopo aver compiuto il loro dovere, erano tenuti ad andare via subito. Il marchese annotava anche tutti i dettagli degli incontri sessuali in un diario e scattava molte fotografie, sia alla moglie sia degli incontri.
Da anni, la famiglia Casati Stampa aveva la concessione, in accordo con lo Stato, di un’isola nel Tirreno: lo Zannone, facente parte delle isole Pontine. Ogni estate la villa del marchese Casati diventava un fortino del piacere, con un andirivieni continuo di virgulti maschili, pronti a soddisfare i suoi più perversi desideri.
L’amore proibito con Massimo Minorenti
Anna iniziò a stancarsi di quella routine e pian piano iniziò a ridurre gli incontri. Tra la fine del 1969 e l’inizio del 1970 entrò in scena un giovane universitario, Massimo Minorenti, classe 1945, richiamato più volte per volontà del marchese e della stessa moglie. Il marchese Casati non si accorse che tra sua moglie e Minorenti stava nascendo un sentimento.

I due iniziarono a vedersi regolarmente. Camillo ovviamente non ci stava e ordinò alla sua consorte di eliminare per sempre il giovane amante dalla sua vita. Anna finse di assecondarlo, ma in segreto continuò a coltivare l’amore proibito con il giovane studente.
La notte del delitto
Nell’agosto del 1970 il marchese venne invitato nella tenuta dei Marzotto, nel Vicentino, per una battuta di caccia. La moglie decise di restare a Roma nella residenza di via Puccini.
Alle quattro del mattino del 30 agosto il marchese Camillo chiamò sua moglie ma al telefono rispose Massimo Minorenti. Riattaccò subito ma dopo qualche minuto richiamò. Questa volta rispose Anna. Nacque una violenta discussione. A quel punto il marchese salì in auto e tornò a Roma. Ad attenderlo trovò, nel salotto di casa, sua moglie e il suo amante, pronti a chiarire l’equivoco.
Il marchese allontanò la servitù, chiuse a chiave la porta della stanza, afferrò uno dei suoi fucili da caccia, un Browning calibro 12. Colpì prima Anna, per tre volte, poi due volte Massimo Minorenti e infine, con quella stessa arma, si tolse la vita, sparandosi un colpo sotto il mento.

Lo scandalo mediatico
Quello fu l’inizio del cosiddetto delitto Puccini. Il caso era stimolante: famiglia nobile, gelosia e ossessioni erano gli ingredienti di quello che di lì a breve sarebbe diventato un caso mediatico. I media ci si tuffarono a capofitto. A un certo punto, non si sa come né per mano di chi, vennero fuori i diari hot del marchese e le foto di Anna Fallarino. Lo scandalo era ormai pronto per essere servito in pasto al popolino.
Il giallo dell’eredità
Sulle copertine finì, non volendo, l’unica figlia di Camillo, Anna Maria Casati Stampa. All’epoca dei fatti la ragazza aveva 19 anni, quindi era ancora minorenne (soltanto nel 1975 la maggiore età sarebbe passata dai 21 ai 18 anni) e quindi le serviva un tutore legale per intascare l’eredità paterna. C’era però un altro problema: il testamento. Il marchese aveva lasciato alla figlia soltanto un quadro e 100 milioni di lire, tutto il resto lo aveva destinato alla moglie. Se Anna Fallarino fosse morta dopo Camillo, avrebbe ereditato, seppur per pochi istanti, tutte le proprietà dei Casati Stampa. A quel punto l’eredità sarebbe passata in mano ai parenti della defunta, non avendo lei eredi diretti.
Entrò in scena a questo punto un giovane avvocato calabrese, Cesare Previti, su mandato della famiglia di Anna Fallarino, che cercò di dimostrare che la donna fosse morta dopo il marito ma l’esame autoptico non confermò questa versione.
L’affare di Villa San Martino
Nel 1973, quando la figlia del marchese si trasferì in Brasile, decise di assoldare un legale, Giorgio Bergamasco, che si occupasse dei debiti lasciati dal padre. A questo punto fece di nuovo capolino Cesare Previti, che offrì il suo aiuto a Bergamasco e gradualmente divenne praticamente l’unico mediatore dell’affare.
Previti riferì alla figlia del marchese, ormai diventata maggiorenne, che un suo conoscente voleva acquistare una delle tenute di famiglia ad Arcore, in Brianza. Si trattava di Villa San Martino, 4mila metri quadrati di bellezza e magnificenza, circondati da ettari di terreno. L’offerta per l’acquisto ammontava a 500 milioni di lire. Anna Maria ovviamente aveva intenzione di rifiutare ma il legale calabrese le disse che la somma si riferiva al solo immobile, spoglio di tutto quello che vi era custodito all’interno, tra quadri preziosi e opere d’arte. Anna Maria aveva bisogno di liquidità e accettò.
La vendita divenne una permuta: l’acquirente diede ad Anna Maria 800 azioni di una delle sue società, e in cambio ottenne la Villa San Martino, tutto quello che vi era all’interno e dei terreni a Milano. Un affare per l’uno, una trappola per l’altra. Nel 1974 il nuovo padrone di casa si stabilì nella villa, ma il rogito venne effettuato soltanto nel 1979: per cinque anni, quindi, Anna Maria Casati Stampa continuò a pagare le tasse sull’immobile.
L’imprenditore le offrì poi di riacquistare le azioni che le aveva venduto. A quel punto Anna Maria prese i soldi e chiuse per sempre con la storia della sua famiglia.

L’imprenditore milanese, che era riuscito ad acquistare la villa e i beni dei Casati Stampa, era il giovanissimo Silvio Berlusconi.
Il valore di un impero
Nei primi anni Ottanta Berlusconi chiese una fideiussione, offrendo la prestigiosa tenuta di Arcore come garanzia: la villa venne valutata oltre sette miliardi di lire. Ad oggi, il valore stimato di Villa San Martino supera i 50 milioni di euro.

Così il delitto di via Puccini, nato dalle perversioni di un marchese e dalla passione di una donna che cercava l’amore vero, finì per essere ricordato non solo come uno dei casi di cronaca nera più celebri d’Italia, ma anche come l’inizio di uno dei più grandi imperi immobiliari del nostro Paese. Villa San Martino, macchiata dal sangue dei Casati Stampa, divenne il simbolo del potere berlusconiano, cancellando sotto strati di marmo e lusso il ricordo di quella torrida notte di fine estate del 1970, quando la gelosia e l’ossessione scrissero una delle pagine più torbide della Roma bene.