Meloni decreto rave murales

Il “Decreto rave” non c’entra con i rave, ed è un problema per tutti

Il famigerato provvedimento è stato presentato come una reazione alle feste giovanili, ma di fatto può essere un pericoloso strumento attraverso il quale limitare la libertà dei cittadini. È il lato forcaiolo del governo Meloni?

Roma – Pochi disegni di legge possono vantare una storia allucinata come quella del cosiddetto “decreto rave”, formulato sull’onda emotiva dei grandi rave party di Modena. Nato prima come proposta quasi macchiettistica (contro raduni finalizzati all’ascolto di “musica non autoctona“), è evoluto in un insidioso strumento che può colpire, essenzialmente, qualsiasi raduno non autorizzato. E rafforza il controllo dello Stato sui cittadini.

Raver che sgomberano il celebre party di Modena sotto l’occhio diffidente di un agente di polizia.

Quando sentiamo parlare di rave party, la nostra immaginazione corre immediatamente a raduni di giovani trasandati intenti ad ascoltare musica terribile ingerendo una pasticca dietro l’altra. Dunque, potremmo pensare: che male c’è in una legge che prova a dare un taglio a questo fenomeno?

Il punto è che il cosiddetto decreto rave, nonostante il nome, non riguarda solo i rave, del resto fenomeno difficile da definire a livello giuridico. Può riguardare, potenzialmente, qualsiasi raduno non autorizzato che avviene su suolo pubblico o privato. Anche un concerto di artisti di strada (sprovvisti di licenza) si potrebbe qualificare come “occupazione di suolo pubblico e privato a scopo ricreativo“. E non solo: il decreto garantisce alle forze dell’ordine il potere di effettuare intercettazioni sui presunti organizzatori, requisire materiali e oggetti, arrestare persone.

Com’è possibile che l’innocuo “decreto rave” sia divenuto uno inquietante strumento del Leviatano?

Il Decreto rave: le origini

Uno degli elementi che caratterizza il sovranismo fin dalle sue origini è la ricerca di un nemico dell’ordine pubblico a cui attribuire colpe su colpe. Inizialmente erano soprattutto gli immigrati, poi anche i “teorici del gender”, l’Unione Europea e quant’altro. Il governo Meloni ha già scelto i suoi bersagli: fino ad ora, anarchici e soprattutto i raver.

Stupisce quasi osservare come il “decreto rave” sia stato il primo disegno di legge del governo Meloni, quasi la sua risoluzione fosse una priorità assoluta. In effetti, la procedura con cui fu presentato non mancò di criticità: sull’onda mediatica del party di Modena (a cui presenziò un numero incredibile di giovani, ma che si dispersero essenzialmente in modo ordinato e senza scontri) fu giustificato come “decreto emergenziale“.

Le prime formulazioni di esso furono quasi comiche. Leggendaria quella del ministro Matteo Piantedosi:

Piantedosi decreto rave
Nella mente di Piantedosi, i rave vanno bene finché si ascolta techno italiana.

In seguito alla critiche incessanti dell’opposizione e alla pioggia di emendamenti, il contenuto della fattispecie fu progressivamente astratto, per poi passare alla camera con una maggioranza risicata. Il problema fu così tuttavia solo acuito, perché, essendo impossibile definire un rave a livello giuridico, l’ambito di applicazione della legge si allargò essenzialmente a qualsiasi raduno.

Cosa colpisce

Di fatto, dunque, in cosa consiste questo decreto? Essenzialmente, la possibilità di elevate sanzioni pecuniari la reclusione dai 3 ai 6 anni per gli organizzatori di eventi in cui si promuove “promuove l’invasione arbitraria di terreni o edifici altrui“, specialmente quando questi causano “danni alla pubblica sicurezza” derivati dalla inadempienza di “norme tossicologiche“, “igiene” e “pubblica sicurezza“, anche in considerazione del “numero di partecipanti” (nelle prime stesure dai cinquanta in su; nelle ultime “a discrezione del giudice“.

Inutile osservare che questa norma non si applica solo ai rave – bensì anche a manifestazioni, raduni spontanei, centri sociali e quant’altro. Vengono aumentati i poteri delle forze dell’ordine, che possono operare intercettazioni telefoniche sui presunti organizzatori. Benché si garantisca che questa legge non sarà utilizzata contro manifestazioni studentesche et similia, il testo della legge non si è evoluto al punto da eliminare l’ambiguità.

Perché è un problema

In particolare, il decreto va a colpire tutta una serie di realtà che, pur operando al fuori della soglia della legge, danno sostentamento a famiglie e individui, oltre a offrire una certa forma di servizio culturale. Spesso luoghi abbandonati e trasformati in centri culturali, che ospitavano concerti e simili raduni, e cadono ora pienamente nella fascia di illegalità. Anziché tentare una qualche forma di regolarizzazione progressiva, il governo preferisce la criminalizzazione, spesso di fasce già marginalizzate. I gestori di queste piccole “aziende” si trovano improvvisamente impelagati in processi, con tutto il materiale attraverso cui lavoravano requisito.

Riassumendo, il Decreto rave è stato uno disegno di legge creato su una base mediatico/emotiva, indirizzato essenzialmente a un falso problema (i rave italiani non raggiungono lontanamente quelli europei né per mole né per pericolosità). Ma che tuttavia ha permesso al governo di aumentare molto la propria discrezionalità nel modo di gestire e controllare l’opposizione eversiva; il tutto presentandolo, ingannevolmente, come una norma che andava a colpire solo “i ragazzi che vanno a ballare“.

No, Giorgia, il problema è ben più serio.

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