Il compleanno della legge 194 riaccende l’eterno conflitto politico sull’aborto

A 46 anni dalla normativa che ha cambiato la vita delle donne la battaglia politica non si placa, Pro Vita & Famiglia lancia il “Manifesto”.

Roma – Il compleanno della legge 194 riaccende più che mai lo scontro. La norma sull’accesso all’aborto
volontario, che oggi compie 46 anni, pur riconoscendo il diritto alla vita dell’embrione e del feto, tutela, non senza polemiche sin dalla sua entrata in vigore, il diritto della donna alla salute fisica o psichica, qualora questa sia messa a rischio dalla prosecuzione della gravidanza, dal parto o dalla maternità. Un tema quello dell’aborto da sempre al centro dello scontro politico, uno scontro che con dei picchi a volte più duri altre volte meno non si è mai sopito. La ministra della Famiglia Eugenia Roccella è la testimone del governo pensiero sulla questione.

Contestata agli Stati Generali della Natalità, nell’Auditorium della Conciliazione a Roma, Roccella non è riuscita a intervenire, interrotta da fischi e grida e da cartelli con la scritta: “Decido io”. A contestare la ministra era stato un gruppo di studenti, che hanno impedito alla ministra di svolgere il suo intervento. Rivolgendosi ai manifestanti, Roccella aveva preso il microfono dicendo: “Ragazzi ma noi siamo d’accordo, ma nessuno ha detto che qualcun altro decide sul corpo delle donne, proprio nessuno”. Eppure la tensione su questo tema resta altissimo, infuoca la politica e vede maggioranza e opposizione battagliare.

La ministra della Famiglia Eugenia Roccella

Anche il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano ha lanciato il suo attacco all’Ue che lo scorso 11 aprile ha votato a favore dell’inserimento del diritto all’aborto nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. “Confido che il nuovo Parlamento che andremo a eleggere – è insorto Mantovano – non scriva più pagine simili, non solo per il contenuto ma perché completamente fuori dal perimetro” delle competenze dell’Unione. Dall’altra parte della barricata politica c’è – anzi c’è sempre coerentemente stata – la leader di +Europa Emma Bonino, che fa notare. “Le associazioni anti-abortiste tanto sponsorizzate da questo Governo si fanno chiamare ‘pro-vita’. Ma ignorano la libertà di scelta delle donne sul proprio corpo. E soprattutto ignorano i dati.

Dall’approvazione della legge194, ben 46 anni fa, “il numero degli aborti si è ridotto di oltre il 70%. Ma – prosegue Bonino – c’è di più: i casi di morte di donne per aborto clandestino si è praticamente azzerato nel nostro Paese. Prima della legalizzazione dell’interruzione volontaria di gravidanza, a perdere la vita erano le donne, che si affidavano a mammane che intervenivano col ferro da calza o infusi al prezzemolo. Chi si dice per la vita dovrebbe partire da questo. E invece quasi mezzo secolo dopo dobbiamo sorbirci questa propaganda reazionaria sui nostri corpi. Ancora”, scrive sui social. “Non è finita. Dobbiamo continuare a lottare per rendere la scelta di abortire un diritto fondamentale riconosciuto in tutta Europa”.

Emma Bonino

E ancora “46 anni dopo quel diritto acquisito grazie a tante battaglie delle donne – interviene Laura
Boldrini,
deputata Pd e Presidente del Comitato permanente della Camera sui diritti umani nel mondo – è costantemente minacciato da un governo che da una parte dice di non volere toccare la 194 e dall’altra mette in atto qualsiasi strumento per svuotarla e renderla inapplicabile. Lo abbiamo visto con il subdolo emendamento al decreto Pnrr che apre le porte dei consultori alle associazioni antiabortiste e anti scelta, lo vediamo con i mille ostacoli messi dalle regioni governate dalle destre all’accesso alla pillola abortiva, lo
vediamo con il costante bombardamento di dichiarazioni che colpevolizzano le donne che abortiscono”.

Un tema l’aborto che ha addirittura creato tensione tra l’Italia e la Spagna. La ministra spagnola della Parità Ana Redondo era insorta contro gli antiabortisti nei consultori italiani. ”Consentire le molestie organizzate contro le donne che vogliono interrompere la loro gravidanza equivale a disconoscere un diritto riconosciuto dalla legge”. ”E’ una strategia  dell‘ultradestra – aveva detto – intimidire per provare dei diritti, per frenare l’uguaglianza tra donne e uomini”. “Stranieri parlano di questioni nostre senza conoscere i fatti”, aveva replicato la premier. Aveva risposto anche Roccella: “Suggerisco ai rappresentanti di altri Paesi di basare le proprie opinioni sulla lettura dei testi e non sulla propaganda della sinistra italiana, che si dichiara paladina della legge 194, ma non ne conosce il contenuto o fa finta di non conoscerlo”.

Ma in sintesi, cosa prevede la normativa? Intanto il limite dei 90 giorni: entro 12 settimane e 6 giorni dall’ultima mestruazione l’aborto è ammesso sulla base di una autonoma valutazione della donna, che lo richiede perché ritiene che la prosecuzione della gravidanza possa rappresentare un pericolo per la sua salute fisica o psichica. Dopo il novantesimo giorno l’aborto è ammesso solo nei casi in cui un medico rilevi e certifichi che la gravidanza costituisce un grave pericolo per la vita o la salute della donna. Poi la parte relativa al documento/certificato: sia prima sia dopo il novantesimo giorno, per accedere all’interruzione di gravidanza (Ivg) la donna deve rivolgersi a un medico (del consultorio o anche un medico di sua fiducia), che deve redigere un documento attestante la richiesta.

Il documento (certificato, se il medico attesta l’urgenza della procedura) è indispensabile per accedere all’Ivg. Nel caso in cui il medico non consideri urgente l’intervento, invita la donna a rispettare un periodo di “riflessione” di 7 giorni, trascorsi i quali la donna può rivolgersi a un centro autorizzato per l’espletamento della procedura. Altra questione, l’aborto terapeutico: secondo la legge 194 tutte le interruzioni volontarie della gravidanza sono “terapeutiche”, poiché l’aborto è ammesso solo nei casi in cui la gravidanza o il parto costituiscano un pericolo per la salute fisica o psichica della donna. Tuttavia, comunemente viene definito
terapeutico” l’aborto praticato oltre il novantesimo giorno di gestazione (cioè nel secondo trimestre di gravidanza).

Una manifestazione sull’aborto

Altro punto della 194, il limite massimo di 22-24 settimane. Anche se la legge non definisce un limite di epoca gestazionale per l’aborto terapeutico, nel caso in cui il feto abbia raggiunto uno sviluppo che ne permette la sopravvivenza al di fuori dell’utero (cioè attorno alle 22-24 settimane), il medico attui tutti gli
interventi per salvaguardarne la vita; pertanto, per scongiurare la nascita di bambini con gravissimi handicap, si tende a non procedere oltre le 22-24 settimane. Sin dal suo varo la legge 194 è stata al centro di polemiche, e, sottolinea l’Associazione Luca Coscioni, “dalla mancata o non corretta applicazione della legge, che soprattutto in alcune aree del nostro paese, limita ancora fortemente l’accesso all’aborto”.

L’associazione ha presentato alcune proposte di modifica delle parti della legge “che mostrano le più evidenti ed urgenti criticità”: eliminare il periodo di attesa obbligatorio che invita la donna a soprassedere per 7 giorni; introdurre il “rischio per la salute” della donna per le Ivg oltre il 90esimo giorno; eliminare l’obbligo del medico di “salvaguardare la vita del feto”. Al suo posto si propone di inserire che “l’autorizzazione all’interruzione della gravidanza viene data da una commissione medica che valuta il singolo caso”. Per la Fnopo (Federazione Nazionale degli Ordini della Professione di Ostetrica), la legge 194 ha avuto anche effetti
positivi, come la diminuzione degli aborti, passati dai 234mila del 1983 (anno record) ai 66.400 nel 2020. 

Jacopo Coghe, portavoce Pro Vita & Famiglia

Nel giorno in cui 46 anni fa venne approvata la legge 194 la onlus “Pro Vita & Famiglia” presenta in Senato il suo ‘Manifesto Valoriale’ che ha al suo primo punto l’impegno per “la difesa della vita umana e contrasto all’introduzione dell’aborto come valore comune nella Carta dei Diritti fondamentali dell’Unione Europea”. Un Manifesto al quale ha aderito, tra gli altri, Roberto Vannacci, che dichiara in collegamento online di averlo firmato “convintamente” visto che si tratta di valori “fondanti” e di essere pronto, nel caso in cui lui riuscisse ad arrivare al Parlamento europeo, al “sabotaggio” di “chi non la pensa come noi”.

La conferenza stampa è stata promossa dal capogruppo di Fratelli d’Italia al Senato Lucio Malan che ha illustrato il ‘Manifesto’ insieme a Jacopo Coghe, portavoce di Pro Vita & Famiglia, e Antonio Brandi che è il presidente della Onlus. Durante l’incontro con la stampa hanno preso la parola alcuni dei candidati alle Europee che hanno aderito al Manifesto, tra cui, oltre a Vannacci, anche il leghista Claudio Borghi che ha lanciato l’appello “a vigilare “perché “chi non la pensa come noi usa modi subdoli”, come “i nomi che danno ai provvedimenti”.

Tra gli altri punti del ‘Manifesto’ ci sono il “sostegno economico alla famiglia e alla vita nascente”, il “contrasto all’utero in affitto”; la “promozione alla libertà educativa dei genitori e opposizione all’ideologia gender e all’agenda Lgbtq+ in particolare nelle scuole“; “difesa dei risparmi delle famiglie dalle politiche ‘green’ fondate su un ambientalismo radicale anti-natalista'”; “contrasto all’iper-digitalizzazione dei minori con maggiore regolamentazione dell’uso degli smart-phone e dei social network”.

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