Berrino di Fdi segue all’interrogazione di Rampelli sulla condizione femminile nell’Islam, mentre un insegnate biellese contrasta il governo.
Roma – Mentre il ministro dell’Istruzione Valditara lavora a una possibile nuova norma ad hoc, per evitare che le scuole autorizzino assenze legate a feste religiose, per regolamentare una situazione che rischia di creare “conflittualità e caos“, il caso Ramadan continua a “tenere banco”. Sì perché è partita tra i banchi di scuola, all’istituto Iqbal Masih di Pioltello, e poi ha assunto forme e dimensioni ampie che invadono le radici culturali italiane minacciate dall’Islam. Non è un caso che sull’onda delle proteste il vicepresidente della Camera dei deputati Fabio Rampelli di Fratelli d’Italia abbia depositato un’interrogazione al ministro dell’Interno Matteo Piantedosi per denunciare questa invasione culturale.
Donne islamiche che nella Roma popolare sono rinchiuse come animali in un recinto. “Ci risiamo. Ecco le immagini – racconta Rampelli – della giornata conclusiva del Ramadan, la festa che interrompe il digiuno per i fedeli dell’Islam, provenienti da Roma, quartiere Centocelle. Gli uomini si inginocchiano e pregano Allah, è giusto, ognuno dei circa due milioni di musulmani residenti in Italia ha il pieno diritto di farlo, anche pubblicamente. Le donne invece sono rinchiuse in un recinto e discriminate, non possono pregare, ma neppure guardare gli uomini chini verso la Mecca. Infatti una rete da pollaio con telo oscurante impedisce loro di guardare nel settore dei fedeli in preghiera perché sono ‘esseri inferiori’ e non devono avere accesso né diretto né indiretto alla fede”, conclude.
Oggi a tornare sull’argomento è il senatore di Fratelli d’Italia Gianni Berrino, capogruppo del partito in Commissione Giustizia a Palazzo Madama. Le immagini di Roma, dove “durante la preghiera per il Ramadan le donne sono chiuse in un recinto, sono scioccanti. La libertà religiosa è costituzionalmente garantita e allo stesso modo la Costituzione tutela la pari dignità tra uomo e donna. Certe scene non possono avvenire in Italia – insorge – e tutta la politica dovrebbe intervenire perché i diritti delle donne dovrebbero essere sempre difesi. Dove sono le femministe italiane che si indignano contro il Patriarcato? – incalza – Dove sono le perbeniste del politicaly correct che sono pronte a puntare il dito contro le scelte del governo Meloni e della
nostra premier, dove sono le piazze piene di dissenso ad ogni inutile presa di posizione? Attediamo fiduciosi una risposta”.
Dall’altra parte, oltre la narrazione della politica, c’è un insegnante di Biella che indirettamente si oppone all’idea lanciata da Matteo Salvini di un tetto, una quota massima del 20% di bambini stranieri per ogni classe, dopo il caso Pioltello. “Non credo che in nessun Paese islamico chiudano per la Santa Pasqua o per il Santo Natale – aveva il leader della Lega – Finché l’Islam non si darà una struttura e non riconoscerà la parità tra uomo e donna chiudere la scuola mi sembra un pessimo segnale. È un segnale di cedimento e arretramento chiudere per il Ramadan”. Poi aveva rilanciato una sua proposta, quella del tetto agli alunni stranieri in aula, già avanzata anni fa dopo il caso di un istituto romano, la Pisacane, dove intere classi erano composte prevalentemente da bimbi immigrati o figli di immigrati.
Ebbene, oggi arriva la riflessione, per non dire provocazione di un insegnante biellese, Roberto Pietrobon, maestro nella scuola elementare del quartiere popolare di Villaggio Lamarmora, all’indomani della festa del Ramadan che ha lasciato la sua classe con soli 6 scolari. L’insegnante ha scritto un post sul suo profilo Facebook per fare gli auguri ai suoi alunni, la maggior parte di fede islamica, per la festa religiosa, evidenziando la presenza in classe, nel giorno della celebrazione, di soli 6 bambini su 21. “E’ la festa di fine Ramadan e al netto di tutto questa è la fotografia di cosa succederebbe se le nostre scuole fossero ‘italianissime’ come vorrebbe questo governo. W la scuola multietnica! W le differenze che sono ricchezza, contaminazione, crescita!” si legge nel post.
Il maestro biellese spiega di avere scritto il messaggio perché “i momenti di confronto in classe sono molti, i bambini stranieri ci tengono a condividere le loro abitudini e in questo modo anche gli italiani capiscono il perché di certi usi. Trovo importante diffondere questi pensieri anche fuori dall’aula. Il giorno della festa di fine Ramadan ci sono stati solo sei alunni presenti su 21 totali e anche due bambini italiani hanno scelto di non venire a scuola perché non avremmo fatto molto. – afferma Pietrobon – In classe non ci sono problemi di integrazione, tutti parlano italiano perché sono nati in Italia o perché l’hanno imparato rapidamente. Anche con i genitori c’é un buon rapporto, quelli dei bambini stranieri hanno hanno più rispetto degli italiani verso gli insegnanti”.
Secondo il maestro nei bambini di origine straniera è molto più spiccata la voglia di imparare e non si riscontra nessun problema di apprendimento: “Sentono molto il senso del dovere nei confronti delle proprie famiglie, che hanno fatto molti sacrifici per mandarli a scuola”. La proposta di alcuni esponenti del governo italiano è, secondo l’insegnante, inopportuna: “Se fissassimo un tetto massimo agli stranieri in classe io avrei le aule vuote perché ci sono zone e quartieri della città popolate principalmente da famiglie non italiane, come quello in cui insegno. Dove dovrebbero andare quei bambini a scuola? in centro? in tutti i quartieri i bambini vanno e devono poter andare a scuola”.
L’insegnante sostiene la necessità di un percorso di riconoscimento reciproco delle culture presenti oggi in una società multietnica come quella italiana: “Uno stravolgimento delle feste comandate sul calendario non è utile al cambio di mentalità, il processo deve essere graduale, deve passare attraverso il dialogo e anche il riconoscimento reciproco delle rispettive tradizioni” conclude. Insomma, la discussione, e le polemiche sul Ramadan, sono tutt’altro che chiuse.