L'evoluzione della donna destabilizza un maschio sempre più incapace di stare al passo con tale processo
Vi scrive Vanelia, l’Amazzone. E da oggi in poi, grazie a POP, vi terrò compagnia con questa rubrica, nella quale tenterò di proporvi riflessioni in chiave femminista su temi che riguardano le donne.
Una sorta di “lente di ingrandimento” sul patriarcato, capace di insinuarsi nella vita quotidiana di ognuno di noi, di assumere forme diverse, di mimetizzarsi e così passare inosservato. Un patriarcato talvolta inconsapevole, subdolo, che impregna le fondamenta del ragionamento al punto da venire liquidato come “normale”. Mentre normale non è.
Si comincia da un tema doloroso, ma è inevitabile parlarne: il femminicidio.
C’è chi ha detto che il 2019 verrà ricordato come l’anno dei femminicidi.
Il numero crescente di questi omicidi non è da attribuire ad un’improvvisa degenerazione caratterizzante il genere maschile, ma ad un numero sempre maggiore di donne che lasciano il proprio compagno.
L’evoluzione della donna destabilizza un maschio sempre più incapace di stare al passo con tale processo, abituato fin dalle origini a considerare la donna come oggetto di possesso, di personale proprietà.
Infatti gli assassini sono soliti classificare come amore un sentimento narcisistico totalmente privo di empatia con la vittima.
Ultimamente sento spesso parlare di piani di recupero psicoterapici dedicati ai carnefici, volti ad agevolarne il reinserimento nel tessuto sociale, dopo la detenzione, per scongiurare una reiterazione del reato.
Ovviamente la mia onestà intellettuale mi porta a ritenere eticamente comprensibile questa misura, conoscendo le dinamiche psicopatologiche (non di malattia) che portano tali soggetti a commettere l’assassinio. Tutto ciò va però a scontrarsi con la consapevolezza di un femminismo che sa bene che ciò che arma la mano di questi criminali è una cultura patriarcale che influisce enormemente su persone di sesso maschile predisposte.
A meno di non voler citare esempi cinematografici quali “Attrazione fatale”, infatti, le donne affette da disturbi di personalità (che non richiamano solitamente a psicosi) normalmente non ammazzano il partner per il solo fatto di essere state lasciate.
La differenza è tutta qui.
Quindi, in definitiva, che questi omuncoli abbiano anche a disposizione i soldi dei contribuenti per le terapie (soldi che andrebbero piuttosto spesi per i centri antiviolenza e per i figli delle vittime) risulta, per questo verso, discutibile.
Ci si impegni, piuttosto, a tutelare le ormai numerose donne che preannunciano l’evento nefasto con tutta una serie di denunce colpevolmente sottovalutate da una giustizia fallimentare.
Se spesa pubblica deve esserci, la si indirizzi almeno nel verso giusto.