I veleni industriali uccidono più di prima

La lotta all’inquinamento ambientale che genera malattie e decessi sempre più numerosi sembra non interessare la politica ai vari livelli. Intanto però le patologie da agenti venefici sono in netto aumento.

L’inquinamento miete silenziosamente le sue vittime. Mentre la politica evita di affrontare argomenti come questi, specie quando le vittime privilegiate sono i bambini. Ci sono decine di città, ma anche piccoli centri, che risentono di gravi danni ambientali che provocano malformazioni nei neonati e tumori in giovani e adulti. E le cause, non tutte dimostrate, risiedono nella sconsiderata industrializzazione del territorio, da Nord a Sud. La crisi economica di qualche decennio fa e quella più recente post-pandemia ha generato la chiusura di indotti produttivi altamente inquinanti ma quelli più pericolosi rimangono in piedi e generano veleni che uccidono centinaia di cittadini residenti nelle aree a rischio.

Gli agenti inquinanti che colpiscono senza differenze uomini, donne e bambini sono di svariate tipologie: si va dai particolati alle diossine, dagli idrocarburi agli acidi, alle sostanze chimiche tossiche e nocive per poi arrivare ai reflui e scarti pericolosi e sostanze radioattive. Ne sanno qualcosa città come Taranto e Gela, tanto per fare un esempio, sino a Parona, piccolo paese di 1800 anime in provincia di Pavia.

I dati resi noti risalgono al 2019 mentre mancano quelli più recenti. A Taranto dal 2002 al 2015, nel sito di interesse nazionale (Sin) sono nati 600 bambini malformati, “con una prevalenza superiore all’atteso calcolato su base regionale“. E come aveva scritto sul proprio sito il ministero dell’Ambiente si erano registrati oltre 40 tumori in età pediatrica e nel primo anno di vita. Questi i numeri contenuti nell’aggiornamento dello studio epidemiologico Sentieri, in base alle informazioni contenute nel Rapporto di Valutazione del Danno Sanitario per lo stabilimento ArcelorMittal (ex Ilva).

Ex Ilva di Taranto

Sono risultate superiori al numero di casi attesi le malformazioni congenite del sistema nervoso e degli arti – si leggeva nel rapporto – L’eccesso del 24% osservato per le malformazioni congenite dell’apparato urinario è invece ai limiti della significatività statistica“.

All’epoca aveva risposto l’allora ministro della Salute del Governo Conte, Giulia Grillo:I ministeri della Salute, dello Sviluppo economico, dell’Ambiente e il ministro del Sud stanno lavorando insieme con l’obiettivo di fare chiarezza, aggiornando tutti i dati in nostro possesso e mettendoli, finalmente, a sistema. I cittadini di Taranto non devono più sentirsi soli o, peggio ancora, abbandonati. I ministeri della Salute e dell’Ambiente, inoltre, stanno lavorando per arrivare al 24 giugno con le modifiche al decreto sulla valutazione del danno ambientale alla salute con elementi di elevata valutazione predittiva. I due ministeri altresì stanno accelerando le procedure di bonifica. Con la Regione Puglia e l’ASL di Taranto sono stati sbloccati investimenti per acquisizione di tecnologia diagnostica e terapeutica delle patologie oncologiche“.

Lo studio Sentieri, coordinato dall’Istituto Superiore di Sanità, aveva preso in considerazione 45 siti a rischio dove si rilevavano, per 22 siti dotati di Registro Tumori, un’incidenza rilevante di patologie oncologiche mentre proprio nel Sin di Taranto, per quanto riguarda i neonati, adolescenti e giovani “il quadro della mortalità generale è sostanzialmente in linea o in difetto rispetto all’atteso nelle diverse classi di età considerate, ma l’elevata incertezza delle stime non consente di delineare un chiaro profilo di mortalità. Sono stati registrati altresi 173 casi di tumori maligni nel complesso delle età considerate (0-29 anni), dei quali 39 in età pediatrica e 5 nel primo anno di vita“.

Il Petrolchimico di Gela

Questi dati, già all’epoca parziali perchè non comprensivi delle patologie e dei decessi non trascritti nei documenti ufficiali, la dicono lunga su come la politica affrontava il grave problema. Insomma ci si preoccupava della diagnostica e profilassi ma poco o nulla si è fatto per limitare l’immissione nell’aria di veleni letali.

A Gela, praticamente, stessa situazione. Anzi peggiore: in 15 anni sono nati 450 bambini malformati, ovvero 1 ogni 166 abitanti. Ma nel passato, nella stessa zona e sino a Siracusa, veniva rilevata fauna ittica deforme e tassi altissimi di mercurio sui capelli delle donne incinte in grado di danneggiare gravemente il feto. Per non parlare di mesotelioma pleurico, tumori di varia natura oltre a patologie nei genitali dei bambini e malattie all’apparato urinario ed endocrino. Roba vecchia anche questa ma tant’è. Tra il 2003 e il 2008 sono nati 222 bambini malformati e, successivamente, tra il 2010 e il 2015 ce ne sono stati altri 203 con malformazioni congenite. A Gela non c’è l’ex Ilva ma l’Eni. E l’Ente nazionale idrocarburi si è sempre difeso da qualsiasi accusa, sentenze alla mano. Come quella del 2018 nella quale il tribunale siciliano “escludeva, anche solo ai fini civili, l’esistenza di un nesso di causa tra il presunto inquinamento di origine industriale e un caso di malformazione neonatale“. Anche in questo caso poco o nulla si è fatto per eliminare o tamponare le vere cause alla fonte. Dunque a Gela non è cambiato nulla: morti e bambini disabili.

Troppi i neonati con malformazioni congenite

E finiamo con Parona, la città delle Offelle, i gustosi biscotti locali: nel 2015 il paese immerso nelle risaie della Lomellina vantava il triste primato di Comune più inquinato d’Europa. Che cosa è cambiato? Nulla. Che cosa ha fatto la politica ai vari livelli? Poco o nulla. E come dicono in piazza: qui da noi non c’è famiglia che non abbia un congiunto ammalato di tumore. All’epoca però si disse che ad inquinare il piccolo centro del Pavese erano i camini a legna e non le grandi fabbriche della sua zona industriale. Il Comune, nel 2011, fece fare anche uno studio sulle emissioni nocive e i risultati furono sorprendenti: il 47% del pm10 derivava dalla combustione della legna.

In seguito i dati dell’INEMAR (acronimo di Inventario Emissioni Aria), stabilivano che i gas espulsi dai comignoli delle case incidevano solo del 7% sul totale dell’inquinamento locale. Bisognava, di contro, tenere sotto controllo i gas emessi dalle numerose industrie presenti in loco e dal termovalorizzatore. Al momento la situazione è cambiata? Si ritiene di no. I cattivi odori permangono per diversi giorni all’anno e la paura della diossina che nel 2011 aveva contaminato terreni e uova è ancora presente nella popolazione locale. La politica? Lo avevamo già detto: assente ingiustificata.

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