Il quindicenne di Senigallia, suicida con l’arma del padre, era vessato da tre compagni di scuola. Ma le sue richieste d’aiuto sono cadute nel vuoto.
SENIGALLIA (Ancona) – “Mamma, ho parlato col prof di sostegno gli ho detto che voglio andare via dalla scuola, non ce la faccio più…L’ho spiegato al prof ma lui non fa nulla, non mi ascolta, ha detto che la scuola fino a 16 anni è obbligatoria…”. Queste sono state le parole che Leonardo Calcina, 15 anni, studente dell’istituto turistico-alberghiero “Panzini”, aveva riferito alla madre tramite sms pochi giorni prima di spararsi in bocca. Davvero non si poteva fare di più per salvare la vita a quel ragazzino sensibile e introverso?
L’inchiesta in corso per istigazione al suicidio, coordinata dal Pm Irene Bilotta, oltre al fascicolo aperto dal ministero della Cultura, chiariranno gli aspetti giudiziari e amministrativi della terribile vicenda che si è consumata la notte fra il 13 ed il 14 ottobre scorsi quando Leonardo si allontanava da casa dopo aver sottratto da un cassetto la pistola d’ordinanza del padre Francesco, vigile urbano a Senigallia, in provincia di Ancona. Il genitore, una volta accortosi che l’arma non c’era più, dava l’allarme alle forze dell’Ordine, colleghi compresi, che cercavano il ragazzo dappertutto sospettando ben altra tragedia, ovvero che Leonardo volesse farsi giustizia da solo.
Due agenti della locale, colleghi di Francesco Calcina, scoprivano il cadavere del ragazzino a Montignano, frazione di Senigallia, riverso sull’erba della campagna accanto ad un casale abbandonato. Leonardo aveva deciso di porre fine ai suoi giorni in un luogo sicuro, che ben conosceva, e dove aveva abitato con i suoi genitori prima che si separassero. Fra via del Campetto e strada della Torre, dove insistono alcuni giardini dove lo studente aveva giocato da piccolo e che forse gli ricordavano tempi migliori. Il giovane, infatti, aveva iniziato la sua carriera scolastica secondaria all’istituto ad indirizzo informatico Corinaldesi Padovano dove si era bene inserito studiando con profitto tanto da essere promosso nel giugno scorso.
Poi il giovane aveva cambiato idea e si era iscritto all’alberghiero “Panzini” ritenendo il corso di studi più confacente alle proprie attitudini ma proprio qui sarebbero iniziati i problemi. Almeno tre studenti, fra cui una ragazza, lo avrebbero preso di mira rendendogli la vita un inferno. I genitori pare fossero al corrente del grande disagio del figlio che riferiva a mamma e papà i suoi tormenti anche tramite messaggi su WhatsApp e anche alcuni professori sembra fossero a conoscenza del suo dramma: ”È venuto a scuola da poco – afferma Alessandro Impoco, dirigente dell’istituto Panzini – non abbiamo avuto segnalazioni riguardo ad atti di bullismo“. Spesso questo reato si consuma in un clima di intimidazione e minacce a cui sono sottoposte le vittime che, per paura di più gravi ritorsioni, non parlano nemmeno con i congiunti o con gli amici del cuore. Leonardo, che faceva finta di niente con parenti e conoscenti, in un modo o nell’altro aveva chiesto aiuto.
Un SOS immediato che forse gli adulti in particolare, ma la società più in generale, non hanno saputo cogliere nel momento giusto:
“Con i genitori andava d’accordo – aggiunge Pia Perricci, avvocato di famiglia – Uscivano per andare a fare delle passeggiate, non lo lasciavano mai solo. E’ circolata una voce secondo cui Leonardo e il papà avessero litigato. Falsa, non hanno mai litigato. E’ stato il bullismo. Abbiamo presentato una denuncia alle tre di notte. I genitori sapevano di quello stato di malessere del figlio. Non hanno fatto in tempo a fare denuncia prima”.
I genitori sono tornati dai carabinieri di Marzocca, frazione di Senigallia, per depositare una integrazione alla denuncia già presentata e nella quale sono indicati alcuni compagni di scuola che avrebbero vessato il figlio. Padre e madre della vittima riferiscono anche che il loro figliolo, il 9 ottobre scorso, aveva parlato con un insegnante di sostegno, non della sua classe e di cui non ricordava il nome, al quale aveva raccontato le sue terribili vicissitudini patite all’interno della scuola: più volte i tre bulli gli avrebbero abbassato i pantaloni per poi colpirlo sui genitali fra parolacce e insulti irripetibili. La madre di Leonardo, Viktoryia Ramanenka, 39 anni, originaria di Minsk, contabile con una laurea in economia e commercio, è riuscita a rintracciare il docente il cui nome figura nell’integrazione dell’esposto ai carabinieri:” Voglio solo giustizia per Leonardo – dice mamma Viktoryia – voglio la verità”.