I fiamminghi? Incantati da Tivoli: una mostra indaga le ragioni dell’attrazione che segnò un’epoca

I pittori del nord Europa durante il Grand Tour tradussero il Santuario di Ercole e i suoi antri in un’officina mirabolante di oggetti alchemici, di messaggi occulti, dove si mescolano sacro e profano.

Roma – Intende indagare il rapporto tra Tivoli e gli artisti stranieri, fiamminghi in particolare, che alla fine del XVI secolo la elessero come meta ideale e tappa obbligata per l’incipiente fortuna del Grand Tour, spinti dall’ammirazione per le sue imponenti rovine e la forza degli elementi naturali, primo fra tutti l’acqua. E lo fa in modo egregio, la mostra Venere disarma Marte: i fiamminghi e la Villa di Mecenate a Tivoli, che ha appena aperto i battenti al Santuario di Ercole Vincitore di Tivoli (Roma), dove resterà esposta fino al 2 marzo 2025.

Organizzata dall’Istituto Autonomo Villa Adriana e Villa d’Este – VILLÆ e curata da Andrea Bruciati, Direttore dell’Istituto, l’esposizione racconta dell’antica Tibur e di come i pittori fiamminghi tradussero il complesso architettonico oggi restituito come Santuario di Ercole, con gli antri suggestivi della via Tecta, in un’officina mirabolante di oggetti alchemici, di messaggi occulti, dove si mescolano sacro e profano.

Particolare sugli edifici e fiume. Crediti fotografici, Archivio fotografico Musei Nazionali di Siena (inv. 458)

Dopo la costruzione di Villa d’Este (1550-1572), l’antica Tibur e il complesso sacro nato in epoca romana, dedicato a Ercole e allora creduto la Villa di Mecenate, costituivano una singolare e pittoresca sintesi di elementi archeologici ed elementi naturali. Per via di questa unione, l’acropoli ha sempre esercitato una forza attrattiva singolare nello sviluppo del disegno di paesaggio tra XVI e XVII secolo e gli artisti stranieri, a Roma così numerosi, si diressero sovente a Tivoli per trovare un contesto in cui la rovina fosse inserita in modo suggestivo nell’ambiente naturale.

Dal lato della Villa di Mecenate Il sito si era arricchito paesaggisticamente anche delle cascatelle artificiali sull’Aniene, create dalla canalizzazione del fiume a seguito della costruzione di Villa d’Este; inoltre già alla fine del XVI secolo la via Tecta ospitava officine metallurgiche – insediatesi poi stabilmente all’inizio del XVII secolo – rappresentando un luogo ideale primigenio in cui, nello specifico tiburtino, i quattro elementi della natura, acqua, fuoco, aria e terra, si miscelavano e affrontavano per un nuovo ordine cosmico.

Uno scenario ideale per storie sacre e profane, per raccontare la potenza della divinità e denunciare la fragilità dell’uomo, indicando al tempo stesso la via per raggiungere la salvezza e la pace.

Info: villae.cultura.gov.it

Immagine in apertura: Johann König, Paesaggio al tramonto con l’episodio dei pellegrini sulla strada di Emmaus. Crediti fotografici, Archivio fotografico Musei Nazionali di Siena

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