I reperti, tutti databili tra il VII e il IV secolo a.C., erano stati trafugati da siti archeologici italiani e poi rivenduti illecitamente anche all’estero.
Rovigo – I Carabinieri del Nucleo Tutela Patrimonio Culturale di Venezia hanno consegnato al Museo Archeologico Nazionale di Adria (Rovigo) 14 pregiate ceramiche archeologiche. Erano presenti il comandante del Nucleo Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale di Venezia, Magg. Emanuele la direttrice del museo, Alberta Facchi, il prefetto di Rovigo Clemente Di Nuzzo, il Sindaco di Adria Massimo Burbujani, il direttore regionale Musei del Veneto Daniele Ferrara, il comandante provinciale Carabinieri di Rovigo Col. Edoardo Campora, i funzionari del Ministero della Cultura e alcune scolaresche del circondario.
I reperti sono rappresentativi di diverse classi ceramiche riferibili a corredi funerari, e coprono un arco temporale che va dal VII al IV secolo a.C. Si distinguono un primo nucleo più numeroso esemplificativo della produzione dell’Etruria, uno più piccolo di produzione apula, daunia, messapica. I ritrovamenti sono frutto di indagini dirette dalla Procura della Repubblica di Trieste e avviate dai Carabinieri TPC di Venezia nel settembre 2021, su segnalazione di uno studioso veneziano, quando i beni venivano posti in vendita nel triestino da un esercizio commerciale di settore. Sono state svolte perquisizioni locali e sequestri nelle province di Trieste e Bolzano.
Durante il corso delle indagini, i Militari del Nucleo CC TPC di Venezia si sono avvalsi di esami tecnici e storico-artistici effettuati dai funzionari archeologi della Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per il Comune di Venezia e Laguna, che collabora strutturalmente con il Nucleo CC TPC di Venezia. Tali analisi hanno accertato che i beni provenissero da contesti archeologici italiani.
In particolare, gli accertamenti condotti dai Carabinieri TPC di Venezia hanno permesso di appurare che i reperti archeologici in questione, oggetto di varie alienazioni che hanno interessato anche l’estero, non erano all’origine accompagnati dalla necessaria documentazione attestante la legittima proprietà. La normativa vigente, infatti, prevede sui beni archeologici provenienti certamente o presumibilmente dal territorio italiano una presunzione di appartenenza allo Stato. Il privato che intenda rivendicare la proprietà di reperti archeologici è tenuto a fornire la prova che gli stessi gli siano stati assegnati dallo Stato in premio per ritrovamento fortuito; o che gli siano stati ceduti sempre dallo Stato a titolo d’indennizzo, per l’occupazione d’immobili; o che siano stati in proprio, o altrui possesso, in data anteriore all’entrata in vigore della Legge n. 364 del 20 giugno 1909. Oltre al recupero dei beni descritti, le indagini hanno portato alla denuncia di 4 persone per ricettazione di beni culturali.
Il recupero di reperti archeologici facenti parte del patrimonio culturale dello Stato rappresenta una delle direttrici investigative che il Nucleo CC TPC di Venezia persegue, attraverso costanti verifiche presso gli esercizi commerciali di settore, mediante l’attenta raccolta di segnalazioni da parte di studiosi e appassionati, grazie alla collaborazione degli uffici centrali e periferici del Mi.C. La restituzione al patrimonio pubblico di questi beni, testimonianze materiali aventi valore di civiltà, riporta alla fruizione collettiva oggetti che narrano la storia di territori e di comunità.
Tra i pezzi c’è anche un pregiatissimo calice a cariatidi in bucchero, di cui i primi esemplari compaiono a Caere attorno al 630 a.C., verosimilmente dietro un’influenza diretta di modelli orientali, per poi diffondersi in tutta l’Etruria meridionale, con segnalazioni anche nel Lazio e in Campania meridionale, e sporadiche presenze nell’Etruria interna, a Orvieto. Il suo utilizzo come vaso potorio sembra poco probabile, mentre la funzione più verosimile parrebbe essere stata quella di strumento da illuminazione e/o brucia-profumi. Si è inoltre ipotizzato un uso di tali manufatti come contenitori per liquidi destinati alle cerimonie di lustratio.
Ancora, una bellissima anfora in bucchero è rappresentativa della cosiddetta Bandhenkelamphora ad anse piatte, prodotta con continuità tra gli inizi del VII e la fine del VI secolo a.C. La diffusione di queste anfore si concentra principalmente in Etruria meridionale, nell’agro falisco, in Lazio e Campania. La decorazione che insiste sul ventre si caratterizza per la presenza di un registro centrale con decoro inciso figurato, costituito da un felino, un cervo e un capro gradienti verso sinistra, tutti raffigurati secondo schemi iconografici ben attestati nell’arte etrusca tra la fine del VII e gli inizi del VI secolo a.C., su influenza della ceramica rodia e corinzia.