Secondo la Procura, anche davanti all’evidenza delle intercettazioni, avrebbero smentito i fatti dopo due blitz che avevano coinvolto i boss.
Palermo – Anche le vittime del racket vanno a processo. Domani in 31, tra commercianti e imprenditori, si troveranno faccia a faccia con il giudice dell’udienza preliminare per non aver denunciato i loro estorsori. Anzi, vengono accusati di averli protetti perché di fronte alla polizia che li aveva convocati hanno taciuto sui nomi della rete che “raccoglieva gli incassi” della loro attività. Le associazioni antiracket saranno parte civile nel processo: Addiopizzo, Fai e Sportello di solidarietà saranno schierate in aula contro l’omertà delle vittime, contro il silenzio su quei nomi della rete criminale. Un gesto importante, per rimarcare che oggi, nella stagione dei tanti successi contro i clan, suona come anacronistico e pericoloso il silenzio nei confronti dei boss del pizzo.
I commercianti di Brancaccio sarebbero arrivati a negare anche l’evidenza quando, convocati dalla squadra mobile e messi di fronte alle intercettazioni, avrebbero escluso categoricamente di aver mai dato un soldo agli emissari di Cosa nostra o chiesto loro favori, come il recupero di merce rubata o addirittura di evitare l’apertura di attività commerciali concorrenti. Un quadro inquietante e desolante venuto alla luce nel 2021, a seguito di due operazioni antimafia messe a segno nel quartiere. Per quelle vittime “consenzienti”, 31 persone, titolari di negozi e aziende, la Procura ha infatti chiesto il rinvio a giudizio.
I sostituti procuratori Bruno Brucoli e Francesca Mazzocco, che hanno coordinato l’inchiesta, contestano a tutti il reato di favoreggiamento personale, in alcuni casi con la recidiva. “Sono ancora molti a pagare le estorsioni e a non denunciare”, dice Daniele Marannano, storico animatore di Addiopizzo, una delle tre associazioni antiracket che chiederà di essere ammessa come parte civile. Tra gli estorsori di questo processo figurano due vecchie conoscenze degli inquirenti. A Brancaccio le estorsioni sarebbero state così tante che chi doveva incassare il pizzo non sarebbe riuscito neppure a ricordarsi tutte le attività commerciali taglieggiate, come era emerso nell’ambito delle operazioni “Stirpe” e “Stirpe 2”, messe a segno nel 2021.
Oggi, fa notare il Comitato Addiopizzo di Palermo, “a differenza del passato, il tema che investe la maggior parte di coloro che pagano non è più quello della paura né tanto meno della solitudine, ma quello della connivenza. Emergono a più riprese dai processi relazioni di grave contiguità tra chi paga senza remore le estorsioni e Cosa nostra. Si tratta di commercianti e imprenditori che in cambio del pizzo pagato chiedono servizi alla criminalità organizzata”. In occasione del 31esimo anniversario dell’omicidio dell’imprenditore palermitano Libero Grassi, ucciso dalla mafia il 29 agosto 1991, l’associazione antiracket è stata protagonista dell’ennesima denuncia.
L’elenco è “lungo e inquietante – conclude Addiopizzo – c’è chi paga e non denuncia perché si rivolge al suo estorsore per impedire l’apertura di concorrenti nel proprio quartiere oppure per recuperare crediti presso i propri clienti, dirimere vertenze con i dipendenti e risolvere problemi di vicinato; c’è chi paga e non denuncia perché appartiene a Cosa nostra o perché il pizzo lo corrisponde al proprio cugino o genero, che è l’estorsore del rione”.