Le parole del procuratore Gratteri a circa un mese dell'operazione "Rinascita- Scott"
“Negli ultimi 25 anni abbiamo visto un’inversione di tendenza: mentre prima erano i mafiosi ad andare a casa dei politici per chiedere favori e raccomandazioni, ora invece sono i politici che vanno a casa dei Capi mafia in quando sono essi stessi i detentori di enormi pacchetti di voti. Questo produce nella percezione locale l’idea che il Capo mafia detenga maggior potere rispetto ai rappresentanti della politica.” Queste le parole del procuratore di Catanzaro Nicola Gratteri durante una lunga intervista radiofonica rilasciata dal magistrato ai microfoni di Radio Radio durante il programma Una giornata particolare.
Dalle dichiarazioni del procuratore emergono alcuni passaggi di cruciale importanza per comprendere le dinamiche e i meccanismi che hanno reso la ‘ndrangheta l’organizzazione criminale più potente al mondo ed estremamente radicata nel suo territorio d’origine: la Calabria.
“I politici – aggiunge il procuratore – sono presenti sul territorio per un periodo limitato, solitamente nei mesi che precedono le elezioni; il Capo mafia, invece, è operativo nelle zone di sua competenza durante tutto l’arco dell’anno. La popolazione, dunque, per soddisfare le proprie domande non si rivolge alle figure che dovrebbero rappresentarla, ma a chi può fornire delle risposte nell’immediatezza. La mafia, seppure in maniera sbagliata e antidemocratica, fornisce queste risposte, sviluppando una dimensione di lavoro in nero, mal pagato e sfruttato. L’opinione pubblica locale, in particolar modo le classi più fragili, vede nelle organizzazioni mafiose l’unica risposta sul territorio e si abbandona ad essa concependola come ultima spiaggia. Logicamente non tutti la pensano così. In particolar modo i ceti più eruditi comprendono che la criminalità organizzata è un fardello sul meridione che comporta ogni anno la perdita del 9% di PIL rispetto al centro Nord.”
La semplicità delle parole di Gratteri mostra un retroscena estremamente complesso: lo Stato ha di fatto appaltato in alcune regioni le sue funzioni decisionali e legislative alla malavita organizzata, nella speranza di mantenere uno status quo elettorale che permetta alle compagini politiche di continuare a tessere le trame del potere esecutivo in cambio di un disinteresse istituzionale nella reale lotta alla mafia. L’apartiticità delle ‘ndrine si è potuta appurare durante l’ultima operazione condotta da Gratteri. Nell’inchiesta “Rinascita-Scott” dello scorso dicembre, infatti, a finire in manette sono stati tanto gli esponenti del centrodestra che del centrosinistra. La ‘ndrangheta, esattamente come dovrebbe fare lo Stato, raccoglie i malesseri locali e li converte in base di consenso. Così facendo si rende capace di trasportare la struttura istituzionale in una dimensione ricattabile, e quindi dipendente da quel potere intermedio che amministra e seda le contraddizioni economiche e sociali.
Lo Stato, dunque, potrebbe disporre già di tutte le misure necessarie per debellare la mafia, ma forse preferisce impiegare le proprie risorse in altri canali.
“Se i politici volessero – ha aggiunto Gratteri – si potrebbe debellare la mafia nel giro di pochi anni del 60/70%, senza stravolgere la Costituzione, ma semplicemente cambiando un pochino le regole del gioco. Ad oggi ancora non ho visto un governo che abbia messo la lotta alla mafia al primo posto nel suo programma. La lotta alla malavita è una lotta per la libertà, contro quella cappa che si chiama ‘ndrangheta.”
L’operazione Rinascita-Scott ha messo in luce la reale potenza della mafia targata Calabria e soprattutto il legame tra pubblica amministrazione e ‘ndrangheta. Emerge un quadro fluido, dove i confini tra malavita e politica sono sempre più labili, un limbo sospeso in cui non si capisce chi impartisce ordini e chi invece li riceve. Il continuo richiamo alla classe politica da parte del magistrato non deve essere inteso come un grido d’aiuto, ma al contrario come richiamo alle “armi” contro la ‘ndrangheta. La Procura di Catanzaro e il potere giudiziario in maniera generale, hanno di fatto tracciato la strada da perseguire nella lotta alla malavita organizzata, ora è compito della classe politica accogliere il lavoro svolto dal magistrato e valorizzarlo fino al conseguimento di qualche altro risultato importante. Al momento però non sembra che ciò stia accadendo. Il potere esecutivo e il potere legislativo dovrebbero aiutare e non ostacolare l’organo giudiziario nella sua lotta verso la disarticolazione delle ‘ndine.
I 334 arresti scaturiti dall’operazione “Rinascita- Scott” devono essere solo la prima di una lunga serie d’azioni contro questo tipo di potere. In seconda battuta bisogna assolutamente ridare dignità ad una regione che conta circa il 18% di disoccupazione e una delle percentuali d’emigrazione più alte d’Italia. La ‘ndrangheta ha una forte essenza rigenerativa, se non si prenderanno repentinamente delle contromisure l’organizzazione assorbirà il colpo e ne uscirà fortificata. La popolazione locale deve tornare ad avere fiducia nello Stato e non a chi ad esso si sostituisce.
La mafia sarà estirpata solamente quando verrà meno la differenza tra cittadini di serie A e di serie B che nel nostro Bel Paese ha anche una connotazione spaziale.