Gli “sgarbi” ecumenici di Napolitano

Per molti, a destra, il presidente ex comunista resta quello del golpe contro Berlusconi. Ma l’ex premier non fu l’unico a subire sgambetti.

RomaDa inquilino del Quirinale Giorgio Napolitano non ha mai avuto tra le sue velleità quella di oscurare Sandro Pertini, il presidente più amato dagli italiani. Anche volendo non disponeva della ruvida schiettezza e della contagiosa simpatia dell’ex partigiano socialista. Misurato e cauto, dal piglio vagamente aristocratico e altero, Napolitano non puntava sulla popolarità, piuttosto ambiva a al ruolo, meno appariscente ma non per questo meno incisivo, di pignolo custode degli equilibri costituzionali.

Non esattamente una passeggiata di piacere nel clima convulso di una seconda repubblica mai definitivamente sbocciata, con i partiti impantanati in un un bipolarismo imperfetto e già lambiti da una crisi di rappresentanza che avrebbe aperto le porte all’onda populista. Così se qualcuno aveva frainteso, ingannato dalla suadente moderazione del nuovo inquilino del Quirinale, pensando a Napolitano come ad una figura tutto sommato opaca di scarsa presa sul gioco politico, dovette ben presto ricredersi, scoprendo dietro la rassicurante cautela dell’uomo, il cipiglio decisionista del politico di razza.

Altrimenti non sarebbe mai diventato Re Giorgio – il copyright è del New York Times in data 2 dicembre 2011, dopo che il capo dello Stato agevolò la successione di Mario Monti a Silvio Berlusconi – appelattivo che lasciava intendere quanto il presidente si fosse fatto monarca, entrando a gamba tesa nella tenzone politica e travalicando le sue attribuzioni istituzionali, giudizio che Napolitano ha per altro sempre negato. Il fatto è arcinoto, le interpretazioni dello stesso ancora inconciliabili.

Gianfranco Fini messo “frenato” da Napolitano

Erano settimane convulse durante le quali era il gossip a stilare l’agenda della politica: la partecipazione dell’allora premier Berlusconi al diciottesimo compleanno di Noemi Letizia, a Casoria; il divorzio dalla moglie Veronica Lario; lo scandalo di Ruby “rubacuori”. Il tutto mentre l’austerità imposta dalla troika alla Grecia minacciava anche l’Italia. Mario Draghi e Jean-Claude Trichet inviarono una lettera alle autorità italiane per spingerle a riformare il sistema previdenziale, il fisco e il mercato del lavoro. La Commissione non si accontentò di una vaga promessa, pretese una lettera d’intenti.

Lo spread, intanto, superò quota 400 e Berlusconi esposto alla berlina sul suo privato sembrava non avere più credito presso le cancellerie estere. Napolitano intervenne con un insolito comunicato per invitare il governo a fare i compiti a casa come richiesto dall’Europa. Mentre lo spread sfondava quota di 500, un Berlusconi in evidente difficoltà saliva al Quirinale l’8 novembre per rendere conto al presidente della Repubblica come mai il voto sul rendiconto dello Stato, alla Camera, fosse passato con soli 308 voti. Era la fine dell’esperienza del magnate di Arcore a Palazzo Chigi. Il giorno dopo Napolitano nominò Monti senatore a vita, di fatto mettendo in mora il premier che il 12 novembre, Berlusconi rassegnò le dimissioni.

Andò tutto come voleva “Re Giorgio”. Da destra lo accusarono – non subito a dire il vero, solo quando il governo Monti già declinava – di aver ordito un golpe ai danni dell’ex premier, tessendo le fila di un complotto internazionale sorretto dall’establishment politico ed economico europeo. Dall’altra parte della barricata c’è invece chi sostiene che Napolitano in quel drammatico frangente semplicemente salvò l’Italia dal default.

Napolitano e Berlusconi, i due cordiali nemici

Ma se Berlusconi allora pianse, altri non risero al cospetto di Napolitano. Nell’autunno del 2010 Gianfranco Fini ruppe con la maggioranza di centrodestra e con Berlusconi presentando una mozione di sfiducia che , complice Napolitano, venne bloccata per dare la precedenza all’approvazione del bilancio dello Stato. In quel caso la proroga pretesa dal Quirinale funzionò da ossigeno per il premier che fece in tempo a ricompattare le fila del centrodestra e quando la mozione di Fini fu finalmente messa ai voti perse.

Anche a sinistra c’è chi può lamentarsi. Nel 2013 Pier Luigi Bersani trovò l’indisponibilità del capo dello Stato al varo del suo governo, un azzardo istituzionale di minoranza che avrebbe dovuto conquistarsi strada facendo i voti dei grillini, chiaramente indisponibili a portare acqua al sistema che volevano abbattere. Napolitano disse di “no” confermando la sua allergia ad ogni avventurismo politico.

Avventuriero lo era per età e vocazione Renzi quando giunse a Palazzo Chigi. Napolitano lo spalleggiò nella battaglia per il jobs act, le nuove regole sul lavoro osteggiate proprio a sinistra – il presidente attinse allora alla sua anima riformista – ma c’è chi sussurra che fu proprio l’inquilino del colle a zavorrare il volo del giovane collega con la sua ossessione per le riforme costituzionali, questione che Renzi prese di petto e trasformò, suicidandosi, in un referendum sulla propria persona.

Se quindi è vero che il presidente si fece sovrano, come sostengono i suoi detrattori, lo è altrettanto che dal suo trono ha menato fendenti a destra e a manca. Re Giorgio sì, ma ecumenico.

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