Le dimissioni dopo il verdetto dell’Antitrust. L’accusa a Sangiuliano ‘senza dignità’ e attacca ‘Io vittima di una persecuzione mediatica’.
Roma – Gli sgarbi di Vittorio Sgarbi sono noti urbis et orbis. Le risse in tv, la bulimia di ruoli, eloquio e offese impareggiabili. Un nome un destino, ‘nomen omen’ dicevano i latini. Ma questa volta lo sgarbo lo hanno fatto a lui che si dimette da sottosegretario alla Cultura e accusa di essere vittima di una vera e propria “persecuzione mediatica”.
Il caso politico è scoppiato in queste ore ma in realtà la miccia è stata innescata almeno tre mesi fa, quando l’Autorità garante della concorrenza e del mercato ha avviato un procedimento nei suoi confronti evidenziando l’incompatibilità tra gli incarichi istituzionali del noto critico d’arte e le sue attività di conferenziere, sia gratuitamente sia a pagamento.
Alla fine lascia lui, e annuncia le sue dimissioni “irrevocabili” ancora prima di averle presentate a Giorgia Meloni. Vittorio Sgarbi non sarà più sottosegretario alla Cultura e se ne va ringraziando la presidente del Consiglio, “che non mi ha chiesto niente”, ma puntando il dito contro il suo ministro, Gennaro Sangiuliano che non esita a definire “uomo senza dignità”.
L’addio del critico d’arte è l’epilogo che fa tirare un sospiro di sollievo, a taccuini chiusi, nella maggioranza. La sua posizione – l’inchiesta per il quadro rubato, le attività extra sotto la lente del garante dopo le segnalazioni arrivate dal ministero della Cultura, le sue esternazioni – hanno creato in questi mesi più di un imbarazzo tra gli alleati. La premier quando era scoppiato il caso delle presentazioni di mostre, libri e conferenze a pagamento aveva preso tempo, aspettando di “valutare nel merito” le indicazioni dell’Antitrust, che aveva fissato al 15 febbraio la scadenza per pronunciarsi ma potrebbe comunicare prima le conclusioni sull’incompatibilità tra le attività extra governo di Sgarbi e il ruolo che ha ricoperto fino a ieri pomeriggio al Mic.
L’annuncio dell’ex sottosegretario arriva durante il suo intervento a ‘La ripartenza – liberi di pensare’, evento ideato da Nicola Porro. Il primo ad essere sgarbato con Sgarbi – che ora annuncia in ricorso al Tar contro l’Antitrust – è stato a suo dire il ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano e l’attacco è frontale. Un uomo “senza dignità”, accusa Sgarbi ripercorrendo le tappe della vicenda che ha ridotto ai ferri corti il rapporto tra lui e l’ex direttore del Tg2.
“Non ci parliamo dal 23 ottobre, quando mi ha dato la delega per andare a occuparmi della Garisenda. Non potevo sentire una persona che riceve una lettera anonima e la manda all’Antitrust. Le lettere anonime si buttano via, gli uomini che hanno dignità non accolgono lettere anonime”, tuona il sottosegretario, e aggiunge che nella sua indicazione, L’Antitrust “dice che le lettere anonime ricevute le ha inviate il ministro. Farò certamente ricorso al Tar perché si dica comunque che io avevo non avevo un’altra professione, ne avevo solo una: essere Sgarbi, essere uno storico dell’arte”.
E come un leitmotiv che ritorna quando scoppia il caso, la strategia difensiva diventa quella della “persecuzione mediatica evidente, su questioni inesistenti o su questa supposta incompatibilità”. L’altro giorno su un “giornale di 65 articoli, in una sola edizione – accusa Sgarbi – su di me c’erano 5-6 articoli e una vignetta in cui mi si dava della ‘testa di cazzo’, tanto per dire la delicatezza”, ma – ha assicurato – “non ho paura della satira. Poi ho avuto trasmissioni televisive, 5 o 6 contro, su costruzioni inverosimili, su dipinti acquistati, come uno acquista dipinti, non è che uno è colpevole perché acquista dipinti”.
Nel mirino dell’Antitrust infatti sono finite attività come partecipazioni a conferenze, inaugurazioni di mostre, la vendita di libri. D’altronde, già dalla delibera con cui l’Agcm aveva avviato l’istruttoria filtravano alcune indicazioni, secondo cui le attività svolte da Sgarbi avrebbero potuto porsi in contrasto con quanto previsto dalla legge Frattini in tema di conflitto di interessi.
La normativa stabilisce che un titolare di cariche di governo, nello svolgimento del proprio incarico, non possa “esercitare attività professionali in materie connesse con la carica di governo, di qualunque natura, anche se gratuite” e che possa “percepire unicamente i proventi per le prestazioni svolte prima dell’assunzione della carica”.
Ma Sgarbi si era difeso sostenendo che il suo caso non rientrerebbe in questa fattispecie, sottolineando che non c’era alcun atto da lui firmato, anche solo una lettera, con la quale avesse potuto agevolare i suoi interessi. Successivamente all’avvio dell’istruttoria, l’Antitrust aveva ampliato l’indagine alla vendita dei suoi libri con dedica personalizzata sul proprio sito internet, perché – si spiegava -“potrebbero integrare gli estremi dell’attività di rilievo imprenditoriale“. L’epilogo, dimissioni comprese, lo conosciamo.
E siccome la lingua è peggio della spada, il critico d’arte lancia il suo j’accuse trasversale anche a altri ministri: “Pongo il problema anche per il ministro Nordio, che questa sera parla” all’evento di Nicola Porro a Milano. “Se sono incompatibile io, chiunque faccia una conferenza da ministro o da sottosegretario è incompatibile“.
Ma dall’altra parte, sul fronte politico, chi aveva prestato il fianco a quella incalzante campagna mediatica contro di lui ha subito esultato di fronte al passo indietro del sottosegretario con festeggiamenti degni di una vittoria dell’Italia ai mondiali. “Ce l’abbiamo fatta. Le dimissioni di Sgarbi con effetto immediato fanno tirare un sospiro di sollievo a tutto il Paese. È il risultato di tutti gli sforzi che il Movimento Cinque Stelle ha messo in campo”, hanno urlato ai quattro venti i grillini.
Anche dal Pd hanno suonato le campane a festa: “Meloni e Sangiuliano spieghino al Parlamento per quali ragioni il governo ha fatto orecchie da mercante sul caso Sgarbi”, hanno commentato i componenti dem della commissione cultura della Camera. E al giubilo grillino si è unito il commento del garantista a corrente alternata Matteo Renzi, che va oltre: “Era un atto dovuto, lo sappiamo, ma Vittorio Sgarbi almeno ha avuto la decenza di dimettersi. Quella decenza per ora manca a Lollobrigida e Delmastro”.
“Ma la palma d’oro – incalza Renzi – oggi va al ministro Adolfo Urso detto Urss per gli amici. Dopo aver attaccato le multinazionali, aver aumentato le accise rispetto a Draghi, aver litigato e poi mollato su RyanAir, aver magnificato le sorti di quella inutile invenzione che è il carrello tricolore, averci nascosto il suo passato di relazioni pericolose con l’Iran il ministro sovranista allo sviluppo economico, pardon alla decrescita ha pensato bene di aprire all’ipotesi dell’ingresso del Governo nel capitale di Stellantis”.
Insomma, ogni occasione è buona per invocare le dimissioni degli avversari, perchè le lezioni di morale, si sa, valgono sempre per gli altri. E allora l’ultimo ‘colpo di teatro’ di Sgarbi fa tornare a galla l’amara verità filosofica dell’ ‘homo homini lupus’ in uno stato di natura in cui l’istinto più intimo è danneggiare l’altro dimenticando i cittadini che stanno a guardare.